Il mito di una forza che non vogliamo più

Quello della forza, della performance e della prestanza, sia fisica che psichica, è un mito che non vogliamo più. 

Essendo passati dall'essere consumatori a utilizzatori di brand, oggetti, beni e servizi, il mito della forza legato al brand non ci interessa più. Ma vediamo nello specifico di cosa stiamo parlando.

Il diritto "a fare schifo" e ad essere se stessi

Analizzando cosa avviene quotidianamente sui social media ci si accorge palesemente di due tendenze: una è quella di una società ancora e profondamente legata all'apparenza e al sensazionalismo, dove foto luminescenti fanno da padrone nei feed bellissimi di gente sempre al top. Viaggi in giro per il mondo, skicare quotidiane che aiutano a mantenere una pelle splendida, acquisti continui sui siti di fast fashion per accaparrarsi l'ultimo trend in tema di abbigliamento o lifestyle. A sostenere queste influencer dell'ultima ora, brand patinatissimi a cui piace urlare il prezzo alla migliore offerta.

E poi, di contro, c'è chi, invece, si accaparra il diritto a fare schifo. Influencer che parlano del disagio quotidiano, corpi "non conformi" a canoni ormai ritenuti superati, ricerca di regimi alimentari più salutari e attenti al rispetto della natura e degli animali,  gente che si ribella a orari di lavoro stabiliti secondo ritmi non umani, alla ricerca di un equilibrio tra vita e lavoro che apporti benessere alla persona e quindi più qualità alla produttività.

I brand accolgono questi cambiamenti e si danno a comunicazioni non più sensazionalistiche, dove l'autenticità diventa un valore e dove la naturalezza degli atteggiamenti e delle abitudini diventa un argomento all'ordine del giorno.

Senza più affaticarsi per raggiungere un canone di bellezza e uno stile di vita che vede l'apparenza al centro di tutto, brand e persone iniziano a dialogare su quale sia un futuro possibile nell'ottica della sostenibilità e dell'equilibrio per tutti.

Una strada verso l'inclusione che ci porta a riflettere sulla nostra fragilità e su quanto una sovra-esposizione massmediatica e socialmediatica sia ormai diventata inutile.

Il valore della comunicazione

C'è da aggiungere che il rischio di greenwashing e di socialwashing sia sempre dietro l'angolo. Il primo appartiene a un tipo di comunicazione non veritiera che esalta aspetti naturali ed ecologici che in realtà i brand non abbracciano; il secondo, invece, appartiene a quei modi di fare e di comunicare dei brand che mettono in primo piano la salute mentale e l'inclusività ma che poi, in realtà, non la esercitano davvero né nei prodotti/servizi né nelle politiche aziendali.

Chi, invece, comunica di meno e cerca una corrispondenza di qualità tra percepito-comunicazione-azioni reali risulta indubbiamente più autentico, più vero agli occhi di chi deciderà di scegliere quel brand perché lo rispecchia davvero.

Siamo consapevoli delle nostre falle e dei nostri fallimenti: sono questi che ci rendono più umani e vogliamo questo anche dai brand: è una via più sana per modellare una società più accogliente. 

 


Donne che si sentono in colpa: come cambiare comunicazione

Donne che si sentono in colpa, sempre, costantemente, per qualsiasi cosa facciano, pensino, dicano. Donne che si sentono in colpa per desiderare di essere semplicemente se stesse. Donne che si colpevolizzano per gli atteggiamenti malati dei partner, per un fischio o un commento indesiderato per strada o sui posti di lavoro. Donne che si sentono in colpa di girare in pantaloncini e maglietta o con vestitini leggeri se fa caldo, perché se attirano l'attenzione degli uomini e delle loro esternazioni ovviamente, è colpa loro. Donne che non lasciano perché si sentono in colpa se i compagni, i mariti, stanno male. Donne che chiedono "scusa" per qualsiasi cosa, che se non riescono a stare zitte, a stare al posto loro, ovviamente si vedono arrivare un conto salato. Donne che non riescono a comunicare, a comunicarsi, perché potrebbero turbare la "serenità" di qualcun altro.

Le donne si sentono in colpa, sempre. Ma da cosa nasce questo sentimento bloccante?

Il senso di colpa femminile deriva dalla cultura dello stupro

La cultura dello stupro prevede la "normalizzazione" di qualsiasi forma di violenza contro le donne, che sia verbale, fisica, psichica, morale. Ovviamente, una delle sue conseguenze più lampanti conseguenze è la colpevolizzazione della persona a cui è indirizzata quella forma di violenza.

Se ti hanno fatto catcalling per strada è perché eri troppo svestita. Se il capo ti ha messo la mano sul fondoschiena è perché gli hai dato modo di farlo. Se ti hanno seguita di notte è perché stavi rientrando a casa troppo tardi. Se il tuo partner ti ha tradito è perché non eri abbastanza avvenente. Se tuo marito ti picchia è perché tu rispondi male o parli troppo. Se papà non ti vuole bene è perché hai fatto la monella. Se ti hanno uccisa è perché te lo meritavi.

Questo tipo di comunicazione verbale, questa narrazione della violenza, riguarda tutte le donne fin da bambine. Il linguaggio verbale è uno strumento potentissimo che consente alle persone di interiorizzare forme culturali fino a crederle "naturali"; per essere più chiari, questo si manifesta quando diciamo "è sempre stato così", credendo, erroneamente, che non possa essere diversamente.

Come disinnescare il senso di colpa femminile con il linguaggio verbale

A partire proprio dal linguaggio verbale, che crea il mondo in cui viviamo, si può disinnescare la cultura dello stupro e il senso di colpa femminile.

Il primo passo da fare è sicuramente quello di promuovere la cultura della consapevolezza. Se le donne iniziano ad essere consapevoli dei propri desideri, delle proprie volontà, abbracciando il punto di vista del "io voglio" e non del "io devo", il senso di colpa inizia già a de-potenziarsi.

In aggiunta alla cultura della consapevolezza, un utilizzo del linguaggio verbale che si proietta alla libertà e all'auto-determinazione, appare fondamentale nel percorso di annientamento del senso di colpa. Fare pace con i propri sentimenti, con le proprie credenze, con i propri punti di vista, con i propri desideri, alimentando per la propria felicità, senza sacrificarla a quella altrui, è un altro tassello importantissimo nel percorso di liberazione dal senso di colpa.

Inoltre, se le donne imparano a ri-educarsi, tenendo per mano la loro bambina interiore e fornendole modelli di comportamento e decisionali alternativi a quelli che le sono stati imposti durante l'infanzia, la strada verso la libertà apparirà più facile. Ovviamente questo è un percorso difficile, che può durare mesi, anni o tutta la vita, ma non è impossibile.

Se ci hanno insegnato a sentirci in colpa semplicemente per ciò che volevamo, se ci hanno insegnato a seguire un modello conforme ad una cultura che privilegia l'uomo in ogni manifestazione dell'esistenza, se ci hanno insegnato che abbiamo un posto marginale in quella cultura che promuove la violenza solo a nostro discapito, non è detto che sia giusto. Ogni pattern comportamentale è socio-culturale e non naturale: per questo può essere demolito e sostituito. 

Imparare ad usare una comunicazione volta alla libertà e al rispetto

La comunicazione verbale è fondamentale tra gli esseri umani, ma essendo frutto di un sistema ideologico-socio-culturale può essere modificata.

Come donne dovremmo imparare che l'espressione di ciò che sentiamo dovrà manifestare ciò che vogliamo e non ciò che dobbiamo secondo qualcun altro.

Parliamo prima a noi stesse, ponendoci la domanda "cosa vuoi fare?" in sostituzione a "cosa devi fare?". Di qui, abbracciamo la nostra volontà e rendiamola parola, linguaggio e poi, di conseguenza, atteggiamento, comportamento, pratica.

E se non ce la facciamo da sole, chiediamo aiuto: accanto a noi potremo trovare tante altre donne come noi che stanno facendo lo stesso percorso.

 

 

 


Femminismo sostenibile

Cosa significa sostenibile? Letteralmente “assicurare il soddisfacimento dei bisogni della generazione presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di realizzare i propri”.

È quindi possibile un femminismo sostenibile? Assolutamente si, e ne avremo via via sempre più bisogno nel nostro mondo contemporaneo.

L'obiettivo è quello di integrare queste proposte nelle dinamiche di transizione ecologica aziendale e, quindi, culturale. Perché se parliamo di sostenibilità, non facciamo solo riferimento all'ambiente, ma anche alle politiche di genere, alla salute mentale delle persone, all'opportunità di un mondo migliore per tutti e tutte.

Il Femminismo sostenibile, esattamente come tutto ciò che è sostenibile, assicura i bisogni della generazione di oggi, attraverso lo studio e la comprensione delle dinamiche del passato che hanno portato, progressivamente, alla liberazione delle donne nel presente, senza compromettere la possibilità delle generazioni future di realizzare i propri, anzi dando nuovi strumenti, nuove modalità e nuovi spazi di azione. 

Perché l'urgenza di un Femminismo sostenibile?

Partiamo dal presupposto che la vita di una donna non è quasi mai (se non mai) sostenibile, perché è plasmata dal patriarcato. È con il patriarcato che ci confrontiamo ogni giorno, anche nelle azioni apparentemente più banali. Basti pensare al fatto che modelliamo i nostri orari di uscita e di rientro a casa e i percorsi da fare in base alla sicurezza delle nostre città; la sicurezza ovviamente si misura sul rischio di essere aggredite sessualmente. Pensiamo al gender gap degli stipendi confrontati con quelli di colleghi uomini con le stesse mansioni. O ancora al fatto che le donne tendono a coprirsi di più sui mezzi pubblici, non perché ci sia l'aria condizionata sparata a palla, ma perché hanno paura di essere molestate, colpevolizzandosi così, come se la molestia dipendesse realmente dal modo in cui si è vestite. O all'atteggiamento remissivo di fronte un episodio di catcalling, di insulti verbali, di mani sul culo sui luoghi di lavoro. Perché se ti ribelli sarai considerata una pazza che non era riuscita a capire "il gioco", una persona pesante che affronta la vita con poca leggerezza.

Una vita non sostenibile è una vita vita difficile, che procede a scatti, ricca di ostacoli da affrontare quotidianamente, in cui anche la cosa più "banale", come tornare a casa da sole in tarda serata (cosa assolutamente normale per gli uomini), diventa di una difficoltà a volte insormontabile.

Ecco la radice dell'insostenibilità, ovvero dover adeguare la propria esistenza a quella altrui.

Ma la vita di una donna è insostenibile non solo per la paura nei confronti degli uomini, ma anche per il gravoso aspetto di cura che alle donne è affidato da millenni (e per affrontare questo tema ci riserviamo altri articoli, considerata la complessità).

Per questo si pone l'urgenza di parlare di Femminismo sostenibile, perché il cambiamento va integrato in una società in cambiamento sotto molti punti di vista, ma soprattutto perché recuperare la situazione della crisi ambientale e umana che oggi viviamo può partire proprio da qui, dal ruolo delle donne e dalla consapevolezza del loro immenso potere.

Nuovi strumenti per un Femminismo sostenibile

Quali sono i nuovi strumenti che ci servono oggi per pensare ad un Femminismo sostenibile?

Oltre la conoscenza, fondamentale e assolutamente primaria per prendere consapevolezza della storia che, come donne, ci ha condotto fino a qui e ci ha portato ad essere ciò che siamo in questo presente, sicuramente altri strumenti e metodologie per integrare nella nostra vita due importantissimi aspetti:

  • l'auto-coscienza che ci sostiene, nell'essere aggiornate sulle nostre possibilità. Si parte dal fatto che quella della nostra presunta debolezza o minore capacità logica di districarsi in situazioni semplici o di responsabilità, è solo frutto di una narrazione patriarcale che da millenni ci vuole "più fragili" per poter effettuare migliori forme di controllo a nostro discapito, su tutte le fasce d'età e su tutte le estrazioni sociali;
  • l'auto-difesa, perché da sole possiamo e sappiamo difenderci. Altro cardine della narrazione patriarcale è stato quello di renderci sottomesse sempre alla presenza di un uomo per sentirci più sicure. Siamo educate all'insicurezza fin da bambine e questa sensazione di inadeguatezza ce la portiamo dietro per tutta la vita. A tal proposito il Wen-Do, una disciplina di origine canadese, diffusasi poi in tutto il mondo e in Europa principalmente in Germania e Svizzera e, a piccoli passi, anche in Italia, può rappresentare una fonte di ispirazione enorme e inesauribile per le tematiche che stiamo affrontando.

Il Femminismo sostenibile nelle imprese

In questo articolo introduttivo, mi preme fare presente che oggi nelle imprese e nelle culture imprenditoriali, si sta facendo sempre più spazio il tema della salute mentale e del benessere psichico dei lavoratori. Per le donne, però, e per la complessità delle tematiche e delle misure da adottare, la transizione verso una maggiore sostenibilità diventa, ovviamente, più articolata.

Per questo iniziare a parlare e cominciare ad educare oltre alla sostenibilità, anche ad un femminismo sostenibile, può significare garantire un'ampia fascia di lavoratrici maggiori diritti e maggiore benessere, oltre che una migliore work-life balance.

 


Minimalismo Digitale: 4 modi per staccare la spina

Il Minimalismo Digitale? Che cos'è questa parolaccia? No, dai, non è una parolaccia, ma un nuovo modo di approcciarsi alla vita digitale, anche da parte dei brand.

Immaginiamo, per un attimo, almeno un brand che è sempre, perennemente sui social media, indistintamente su tutti i canali social. La prima cosa che ci viene da pensare è che noia! Abbiamo davvero bisogno di tutti questi contenuti? E soprattutto, tutti questi contenuti, ogni giorno, potranno apportare un reale valore alle nostre esistenze?

La risposta è NO e l'effetto è un subitaneo unfollow. Ecco, il brand ha perso 1-2-3-mille follower in un colpo solo.

Perché, diciamocelo, il minimalismo digitale è molto più cool. 

Come attuare il Minimalismo Digitale per i Brand

È molto più facile di quanto sembri! Bisogna solo prendere coraggio. Perché pensare ad una vita "disconnessa" non è semplice ma, allo stesso tempo, non è impossibile.

Per questo vi suggeriamo 4 modi per staccare la spina e per rendere sostenibile la comunicazione del vostro brand:

  1. non pubblicare un contenuto ogni giorno
  2. intercetta i desideri e i bisogni del tuo pubblico e comunica solo soluzioni valide
  3. poniti obiettivi di valore sociale e ambientale e rendili pubblici sui social media
  4. invia newsletter solo quando ci sono promozioni o iniziative che possano coinvolgere "le tue persone"

Come attuare il Minimalismo Digitale se sei un freelancer

Spesso anche i freelancer che lavorano nella comunicazione si trovano nelle condizioni di dover ricorrere al Minimalismo Digitale per salvaguardare la propria salute mentale. E allora ecco, anche per loro, 4 modi per staccare la spina:

  1. prenditi del tempo per te, individuando anche solo un'ora nella giornata, in cui spegnere ogni dispositivo
  2. fai una passeggiata o trascorri un po' di tempo all'aria aperta 
  3. non farti prendere dalla FOMO (fear of missing out): se hai perso qualche evento, pace, ce ne saranno altri
  4. fai ordine tra i tuoi contatti e abbandona le newsletter che non leggi più

Il Minimalismo Digitale migliora le vite dei brand e delle persone

Una vita migliore è possibile, anche nell'epoca del "sempre tutto connesso". Dobbiamo sempre e comunque ricordarci che siamo noi a scegliere, al di là di ogni cosa. Possiamo farlo come professionisti e possiamo farlo come brand.

Scegliamo ciò che può davvero cambiare la nostra esistenza e quella delle persone che ci scelgono. Andiamo incontro all'essenziale.

Perché l'unica cosa di cui abbiamo bisogno davvero, è solo un po' di aria.

 


Gender Equality e sostenibilità aziendale

La Gender Equality è lo step successivo al superamento del Gender Gap, ovvero del "divario di genere"sostanzialmente sui posti di lavoro ed è un indice di sostenibilità aziendale. 

Il Gender Gap della vita lavorativa impatta anche sulla vita economica e sociale delle persone. Il suo superamento, quindi, si pone come un passo fondamentale e necessario al miglioramento della quotidianità.

Gender Pay Gap: quando il lavoro non è equo e sostenibile

Il Word Economic Forum, da anni, tiene sotto controllo il gender gap che esiste in vari ambiti della vita delle persone: tra questo, il più diffuso è sicuramente il Gender Pay Gap, ovvero il divario retributivo tra i dipendenti di un'azienda in base al loro sesso biologico.

Spesso il Gender Pay Gap arriva fino ad una percentuale del 20% in più nella retribuzione maschile rispetto a quella femminile, intesa nello stesso ambito lavorativo e sullo svolgimento delle stesse mansioni.

Ma quali sarebbero i risvolti sostenibili e positivi del superamento del Gender Gap verso una maggiore Gender Equality?

Gender Equality: più sostenibilità e più produttività

Molti studi dimostrano che appianare il gender gap produrrebbe un incremento del PIL e quindi avrebbe dei risvolti positivi anche sul piano della ricchezza economica.

Oltre questo, bisogna considerare il fatto che le politiche di gender equality producono effetti positivi anche sul piano psicologico, sociale e relazionale, dimostrandosi dunque più sostenibili.

Anche le formule di smart working garantirebbero un importante sostegno alla causa, riuscendo a realizzare la tanto blasonata work life balance. 

Assicurarsi che le donne entrino a pari titolo nei posti di lavoro e che abbiano le stesse opportunità degli uomini di studiare e realizzarsi nel mondo del lavoro si declina in un mondo lavorativo e sociale più felice e produttivo.

La Gender Equality sarà, nei prossimi anni, un traguardo prima di tutto culturale, con l'adozione di misure di welfare che siano assistenziali e che incentivino le donne e le aziende a proseguire strade virtuose soprattutto nei percorsi di parità non solo salariale, ma anche rispetto alle mansioni e ai doveri a cui adempiere.

 


Che cosa è il Greenwashing?

Che cos'è il Greenwashing? Lo spiega molto bene Aldo Bolognini Cobianchi in un meraviglioso testo pubblicato da Hoepli nel 2022 dal titolo "Comunicare la sostenibilità: oltre il Greenwashing". Partiamo proprio da quel testo e dalle parole dell'autore, per commentare la pratica del Greenwashing.

Letteralmente sarebbe "lavaggio verde" ed è una pratica che molte aziende e brand hanno fatto e fanno tutt'ora per presentarsi come "sostenibili". Ma non è vero! Perché quella del Greenwashing è una sostenibilità solo di facciata, ma non corrisponde allo stato reale delle cose.

In un testo del 2018, L'industria della carità, la giornalista e scrittrice Valentina Furlanetto definisce il greenwashing come una mossa falsa e pericolosa che le aziende fanno per ripulirsi la reputazione agli occhi del pubblico o per cercare di posizionarsi in una fetta di mercato che non è la loro, mistificando risultati, materie prime, etichette e comunicazione del proprio brand o dei propri prodotti.

Ma come si fa a smascherare il Greenwashing?

Secondo Jay Westerveld, noto ambientalista americano e giornalista freelance, citato appunto da Bolognini Cobianchi, ci sono degli elementi indicativi che smascherano il greenwashing di un'azienda. Tra questi ricordiamo e sottolineiamo:

  • assenza di prove: rispetto alla sedicente sostenibilità di un prodotto o di un servizio;
  • proposte falsamente accattivanti: da parte di un brand per affascinare e convincere i consumatori di un qualcosa che, in realtà, non c'è;
  • mentire spudoratamente su componenti nutritive, materie prime utilizzate o facendo pubblicità che esalta valori assenti o che fa promesse che, ovviamente, non riuscirà a mantenere.

Cosa causa il Greenwashing?

Bolognini Cobianchi va avanti con la trattazione del Greenwashing sottolineando, con assoluta chiarezza e completezza di informazioni, cosa causerebbe e causa il Greenwashing ad un'azienda o a un brand che vi ricorre (cfr. p.86-87): in estrema sintesi, esso danneggia l'awareness e la reputation di un brand. Non è uno scherzo!

Soprattutto oggi, periodo molto delicato per la crisi energetica e per la sostenibilità ambientale, far finta di essere attenti al nostro Pianeta o sensibili nel diffondere delle notizie o valori che non corrispondono al reale, non può far altro che compromettere per sempre un brand.

Quindi il consiglio è di non farlo se non lo si è!

Perché l'era dei clienti sta tramontando da un bel po'. Oggi ci sono le persone e le persone desiderano cose vere, ma soprattutto veri brand.


È possibile una comunicazione sostenibile?

È possibile una comunicazione sostenibile? Ma soprattutto, cosa intendiamo per comunicazione sostenibile?

Sul tema della sostenibilità si sta discutendo molto in questo ultimo periodo. Agricoltura sostenibile, industria sostenibile, moda sostenibile, stanno tutti sotto lo stesso ombrello. La sostenibilità è motivo di grande interesse, intesa come possibilità di vivere in un mondo e in una società più tollerabile per gli umani e per l'ambiente. 

Pensare e ri-pensare in modo sostenibile

Ci ritroviamo a pensare e a ripensare tutto ciò che viviamo in modo sostenibile. La Terra non potrà sopportare ancora per molto le vessazioni a cui l'abbiamo costretta nell'ultimo secolo. E noi umani? La nostra comunicazione può essere ripensata in modo sostenibile? E perché prima non lo era?

Tutti i discorsi d'odio, le parole in surplus sui social media, una comunicazione ridondante e, per questo, spesso priva di valore e di autenticità non può essere di certo considerata sostenibile.

Non è infatti sostenibile:

  • navigare sui social media ed essere sottoposti ad una serie infinita di contenti tutti uguali che non raccontano nulla
  • ritrovarsi newsletter che indicano solo l'ultimo super sconto ovviamente e inutilmente imperdibile
  • essere bombardati da banner pubblicitari che intercettano le nostre ultime ricerche sul web, che dovrebbero interpretare o addirittura anticipare i nostri desideri, ma che a volte risultano proprio per questo, invadenti e pressanti.

A fronte di tutto ciò, come ci si può difendere e come si può dare cercare una comunicazione sostenibile?

La ricerca di una comunicazione sostenibile

La comunicazione è fatta per le persone, non contro le persone. È necessario quindi, senza essere troppo bacchettoni e aspiranti intellettualoidi (che non serve a nulla), porsi la domanda: come è possibile fare comunicazione in modo sostenibile? 

Nel marketing non è facile, dato che la maggior parte dei prodotti e dei servizi che il mercato ci propone e ci offre, è inutile. Il marketing non interpreta dei bisogni, li crea.

Ma forse, proprio per questo, il suo contributo alla sostenibilità può essere rivoluzionario. 

Focalizzandoci sull'intento di ricerca, possiamo capire cosa desiderano le persone e possiamo proporglielo in una maniera differente:

  • rispettosa
  • gentile
  • elegante
  • realmente risolutiva

Il marketing e la comunicazione, quindi, invece di creare bisogni per proporre soluzioni superflue, potrebbero invertire il loro senso di marcia. Così facendo diventerebbero importanti

  • valori umani e soluzioni
  • una costante ricerca della bellezza e NON del prezzo più basso
  • il rispetto per l'altro e la sua accoglienza

Cosa fare, operativamente, per una comunicazione sostenibile?

Al di là di tutti i bei discorsi e delle teorie, ci focalizzeremo, nei prossimi articoli, su esempi rilevanti e soluzioni per una comunicazione sostenibile.

Il primo passo, ovviamente, è crederci e impegnarsi realmente affinché tutto questo sia possibile.


Il tuo feed non è un Ecommerce

Tra gli errori di comunicazione social più comuni tra i brand c'è quello di utilizzare il feed di Instagram, il diario di Facebook o il feed di TikTok come fossero degli Ecommerce.

Perché i feed Ecommerce non funzionano

Quelli che abbiamo battezzato come i feed Ecommerce, sono quei feed dove si vedono una serie di prodotti fotografati in still life su sfondi neutri oppure, ancora peggio, dei mockup di cui si sente profumo di "finto" da venti miglia.

Questo accade perché chi si occupa della comunicazione di quel brand non ha ben inteso che cosa voglia dire comunicare sui social media. E infatti, i feed Ecommerce non funzionano mai, perché per la vendita pura e semplice del prodotto ci sono gli Ecommerce, appunto, oppure lo shop di Facebook e Instagram.

Cosa vogliamo vedere sui social

A patto che ogni social ha la sua specificità, il rapporto degli utenti con i social media è molto più umano. Se un utente decide di comprare sull'Eshop di un social media è perché quel brand ha catturato la sua attenzione sul feed in un modo molto più "romantico" di un mero scrolling sullo shop.

Sui social media gli utenti hanno bisogno di:

  • verità
  • ambientazione 
  • percepito 
  • valore aggiunto alla propria quotidianità
  • riprova sociale da parte di altri utenti 
  • contenuti interattivi

Prendiamo l'esempio di Goovi, il brand di cosmesi di Michelle Hunziker (https://www.instagram.com/gooviworld/). Quali sono le peculiarità vincenti di Goovi? Esattamente tutte quelle che abbiamo indicato prima. È vero che anche sul feed di Goovi, ogni tanto compaiono "prodotti", ma sempre contestualizzati in scenari coerenti con lo spirito e i valori del brand. Per questo l'utente non ha una sensazione di fastidioso scollamento dal brand, ma al contrario, ne compone i pezzi in un quadro vincente di coolness, utilità e valore.

Un altro esempio è quello di Barbour (https://www.instagram.com/barbour/). Dal feed del brand so british emergono quei valori di avventura, stile ed eleganza minimale che da sempre accompagnano Barbour e ne fanno uno dei brand più amati, apprezzati e venduti dal 1894.

Lo shopping lo facciamo in altri posti

La funzione del social è quella di condurci per mano verso la conoscenza di un brand; l'acquisto sarà il passo successivo nella chiusura del funnel. Evitiamo di pensare che, siccome il nostro prodotto è "figo" allora tutti lo acquisteranno anche se comunicato male o in maniera troppo diretta o "violenta".

Lo shopping continueremo a farlo su Amazon e su tutti gli Ecommerce del mondo; prima, però, abbiamo bisogno di vita, anche solo digitale.


Un feed Instagram che funziona

Il tuo feed di Instagram funziona? È opportuno che tu ti ponga questa domanda perché il social media più amato al mondo ormai pullula di qualsiasi tipo di contenuto. La questione, però, è sempre la stessa. Siamo attratti da alcuni feed piuttosto che da altri. Secondo voi, perché? La risposta è tanto semplice quanto complicata. Un feed Instagram che funziona è un feed coerente sia dal punto di vista estetico che dal punto di vista dei valori di brand proposti. 

Un feed che spacca

I feed che spaccano sono principalmente quelli che regalano emozioni. Cosa deve fare un brand per dare emozioni?

  • deve essere originale e coerente
  • sintonizza e armonizza i suoi colori con i suoi valori
  • usa ambientazioni e forme che richiamano il brand

Questi elementi trasformano il feed in uno strumento di comunicazione:

  • bello esteticamente
  • efficace dal punto di vista comunicativo
  • coerente con il brand stesso.

 I tre concetti di cui parliamo qui, ovviamente, non hanno una validità né oggettiva né scientifica. Per questo, cerchiamo di spiegarci meglio.

Un feed che vale

Un brand che varrà la pena seguire sulla sua pagina Instagram dovrà necessariamente vantare le 3 caratteristiche fondamentali che abbiamo elencato su. Un feed bello sarà un feed in armonia con la vision del brand e la sua traduzione in immagini; efficace lo diventerà se adempirà alla mission di quel brand attraverso il suo visual; sarà, infine, coerente se avrà sviluppato le prime due caratteristiche e se sarà stato capace di far diventare la sua coerenza un valore.

Se desideri fare un'analisi del tuo feed Instagram o di quello del tuo brand, contattaci. Ne vedremo delle belle! 


Come fare una Facebook adv?

Tra i luoghi comuni più diffusi nel Digital Marketing c'è quello per cui per avviare una campagna Facebook adv ci vogliono cinque minuti. Bugia! 

O meglio, è vero che per avviare una campagna Facebook ci vogliono cinque minuti, ma per "farla in cinque minuti" serve preparazione, capacità analitica e una grande abilità di osservazione.

Innanzitutto mettiamo subito le cose in chiaro riguardo la call to action che ogni utente trova sotto i post del proprio diario di Facebook o del proprio feed di Instagram. Quando leggiamo "metti in evidenza il post" stiamo accendendo alla possibilità di creare un'inserzione, che è, in realtà, solo l'ultima parte di una campagna pubblicitaria nel circuito Meta.

Metti in evidenza il post vs campagna Facebook adv

La call to action Metti in evidenza il post, dicevamo, ci dà la possibilità di creare un'inserzione e quindi:

  • scegliere il pubblico a cui si rivolgerà quella creatività utilizzata per veicolare una pubblicità;
  • il budget da investire in quella pubblicità;
  • il tempo di visualizzazione di quel contenuto pubblicitario.

Insomma, quella call to action che fa sentire potenti molti profani sul tema, ci dà solo una visione parziale della complessità del tema. E sappiamo che avere una visione parziale credendo di possederne la totale è il preludio per l'ignoranza.

Quindi, lo strumento Metti in evidenza il post resta valido solo e soltanto se riesci ad avere la visione totale del sistema di advertising di Meta che, invece, si presenta molto più complesso. Aggiungo incomprensibile per chi, per tutto il tempo, ha creduto che bastasse "mettere in evidenza il post" per avere risultati vincenti.

Quali sono, invece, le differenze con una campagna pubblicitaria nel circuito Meta, ancora chiamate per la maggiore Facebook adv?

Tratti salienti di una Facebook adv

Innanzitutto dobbiamo accertarci di lavorare con una pagina Facebook e un account Instagram Business che siano correttamente collegate in un Business Manager. Il Business Manager è uno strumento di Meta per gestire in un unico luogo, tutte le attività social legate a Meta della tua azienda.

È uno strumento molto complesso, per cui la cui conoscenza ti consiglio di leggere questo articolo: https://www.facebook.com/business/help/113163272211510?id=180505742745347

Se hai dimestichezza con Business Manager, saprai che all'interno del tool è possibile creare un Account Pubblicitario dedicato all'azienda che seguirai e a cui sarà collegato il Business Manager. Di qui potrai accedere a Gestione inserzioniil tool che ti permetterà di realizzare le tue adv, tenerle sempre sotto controllo, di analizzare i dati e ottimizzare le successive adv.

Una Facebook adv si divide principalmente in tre momenti salienti:

  1. la campagna dove potrai stabilire l'obiettivo della tua adv, decidere se fare un test A/B per la tua adv e se ottimizzare il tuo budget (qualora tu abbia l'intenzione di avviare due o più inserzioni in quella stessa adv);
  2. il gruppo di inserzioni dove potrai stabilire più nel dettaglio il budget, potrai creare il tuo pubblico oppure scegliere tra i pubblici già esistenti nel tuo Business Manager e i posizionamenti di visualizzazione della tua adv;
  3. le inserzioni, la parte più "creativa" della tua Facebook adv. Qui potrai scegliere tra creatività già esistenti sulla tua pagina FB o account IG, potrai realizzare creatività espressamente dedicate alla tua adv, affinché venga visualizzata "off-page" e visualizzare le anteprime dei tuoi posizionamenti. Così potrai capire più chiaramente come il tuo pubblico potrà reagire all'adv.

Questo non è neanche l'inizio di una Facebook adv

Se ce l'avrai fatta a fare tutti i passaggi elencati sopra, sarai quasi pronto per avviare finalmente la tua adv. Ma il bello viene dopo! Una volta avviata una adv non basta lasciarla lì aspettando che si completi. Una Facebook adv deve essere continuamente monitorata, affinché possa essere ottimizzata in corso d'opera (qualora sia necessario). E quando giunge al completamento, dobbiamo chiederci se siamo in grado di analizzarne e valutarne i dati.

Se non ce la facciamo, iniziamo a studiare davvero. Oppure rivolgiamoci a chi sa farlo, a dei professionisti veri e non ad advertiser dell'ultima ora.