Cosa fare con gli hashtag

Gli hashtag, questi sconosciuti. Ebbene sì, perché a differenza di ciò che si pensa, nel magico mondo dei social media manager si fa sempre una grande confusione sull'uso degli hashtag.

Partiamo dal principio: che cosa è un hashtag? L'hashtag è un tag che ha la funzione di aggregatore tematico. Ciò significa che gli hashtag hanno la funzione di contenitori tematici per i milioni di post che ogni giorno vengono pubblicati sui social media. Gli Hashtag furono introdotti in quello che ormai appare come un lontanissimo 2007. Essi servivano a dividere i contenuti in base agli argomenti trattati, rendendone anche più facile il reperimento e a distinguere i cosiddetti trend topic.

I trend topic sono argomenti caldi su cui si discute in un particolare momento e che riescono a fornire un feedback valido sulle tendenze del web in tempo reale.

Hashtag e Instagram

Nati su Twitter, gli hashtag hanno avuto però il loro grande successo dal 2015 grazie ad Instagram. Questo è avvenuto perché si è compreso subito il valore degli hashtag non solo nell'accorpare contenuti simili e che quindi mettevano facilmente in contatto persone con gli stessi interessi, ma anche nell'aumento del numero dei follower.

Usati nella maniera giusta, infatti, gli hashtag hanno il potere di aumentare i follower di una pagina perché giocano sul senso di appartenenza da parte di persone che condividono gli stessi interessi e le stesse problematiche.

Certo, da un paio di anni ad oggi, la tendenza ad usare molti hashtag è diminuita esponenzialmente. Ciò è avvenuto perché l'uso di hashtag troppo generici e diffusi causa una naturale dispersione dei contenuti di piccoli account, che si vedono superati da quelli molto più grandi in numero di follower.

Inoltre, dopo che Facebook (da poco META) ha acquisito Instagram, il potenziale di crescita in organico data dall'uso degli hashtag, è diminuito. Infatti un contenuto cresce solo in adv e farlo crescere in organico sfruttando uno spazio che è bene ricordare, non è nostro, è diventato molto più difficile. Quindi non montatevi troppo la testa: crescerete se imparerete a fare online adv o se vi affiderete ad una persona esperta per farlo.

Diversamente il vostro engagement rate sarà così basso che vi servirà solo per autocelebrarvi, e quindi non vi servirà a nulla.

Perché l'hashtag su Facebook non funziona

Da social media manager e copywriter devo ammettere che vedere hashtag su Facebook è davvero molto fastidioso.

Dal 2016 gli hashtag si sono diffusi anche su faccialibro, ma con scarsissimi risultati. Questo perché a Facebook non serve un aggregante di contenuti: il social di tutti i social non è nato per quello, ma piuttosto per dare contenuti estemporanei e pareri ancora più estemporanei. In più Facebook nasce per raccontare fatti e visioni personali e per condividerli con le persone che abbiamo scelto, non per diffondere contenuti. È per questo che l'hashtag su Facebook non ha appeal, anzi potrebbe sortire l'effetto contrario, disperdendo il nostro contenuto.

In quale ordine inserire gli hashtag

Fermo restando che utilizzeremo gli hashtag solo per i nostri post di Instagram, quindi, cerchiamo di capire anche in quale ordine inserirli in base alla loro tipologia:

  • brand hashtag: gli hashtag relativi al brand che stiamo curando, con il loro nome o claim;
  • hashtag di settore: si intendono quelli relativi al settore merceologico di riferimento del brand per cui stiamo lavorando; ù
  • hashtag generici e trend topic: che siano comunque coerenti con il contenuto che stiamo pubblicando e con la nostra linea editoriale.

Inseriscine massimo dieci, ponderando il numero in base alle tipologie sopra elencate, se non vuoi dare la percezione di essere poco "cool".

 

Dopo questo, mi raccomando! E buon #hashtag.

 

NB: questo articolo è stato scritto nel rispetto di una lingua inclusiva e con un approccio gender correct.

 


Regole di sopravvivenza per freelance

Tanto un post devi pubblicare. Se hai avuto la brillante idea, nella tua vita, di essere social media manager, chissà quante volte avrai sentito questa frase.

In questo articolo ti spiegheremo come sopravvivere al senso di frustrazione e turbamento che segue l'ascolto di una frase così, enunciata spesso dalle persone con cui, come freelancer, collaboriamo.

Si, perché se hai la fortuna di lavorare nel contesto di un'agenzia e se hai la fortuna di lavorare con persone corrette che poco a poco, giorno dopo giorno, diventano la tua famiglia, hai meno possibilità di correre questo rischio. Perché se un'azienda si comporta in maniera scorretta nei confronti di persone che, come te, lavorano nell'ambito del marketing e della comunicazione, e in agenzia vige un buon clima, si farà di tutto per fare fronte comune e cercare un dialogo alternativo con l'azienda.

Ma se sei freelance, combatti in totale solitudine nei confronti delle aziende con cui collabori e devi sapere quali regole applicare per destreggiarti e sopravvivere in questo marasma.

Sopravvivenza e vita da freelance

I freelance non hanno vita facile. E questa non è una frase campata in aria, è una certezza. Qualcuno diceva che l'unione fa la forza e mi sa che aveva ragione. Quando si è in gruppo ogni difficoltà viene superata con il supporto e l'attenzione di tutte le persone che lavorano insieme, che condividono battaglie, che hanno un obiettivo in comune. Quando, invece, ci ritroviamo in totale solitudine a fronteggiare momenti di sconforto, la possibilità di avere una rivincita si fa molto più dura.

Per questo ti dedichiamo questo articolo, perché nessun essere umano è una monade solitaria, anche se freelance.

Vediamo quindi come fronteggiare e reagire alle più diffuse occasioni di critica che ci possono provenire dall'esterno. Fermo restando che questi consigli non devono aumentare la nostra arroganza: infatti ammettere i propri errori e fare di tutto per superarli è prova di grande intelligenza. La frustrazione e l'umiliazione derivano piuttosto da frasi dette senza coscienza di causa, senza provare a capire che il nostro mestiere è complesso, richiede tempo e che non è nostra tutta la responsabilità di alcune scelte aziendali visibilmente fallimentari.

Regole di sopravvivenza per freelance

Vi mostriamo qui 5 occasioni di disagio che sicuramente vi saranno capitate e 5 modi per affrontarle con eleganza, grazia e positività:

  1. Tanto un post devi pubblicare: no. Questa è una frase molto frequente. Per scrivere un post, soprattutto per scrivere un post che abbia un senso in una strategia di digital marketing serve una grande concentrazione e tanto metodo e studio, oltre che tanta tanta pratica.
  2. Una grafica la posso fare anche io. Non è assolutamente vero. Anche qui serve preparazione, specie se non vogliamo incorrere in grafiche off topic o in stile anni Ottanta.
  3. Ho provato a chiamarti ieri sera, perché non hai risposto? Datevi degli orari. Sconnettersi dai dispositivi, dalle mail, dalle chiamate alle 9 di sera è un diritto. Altrimenti diventerete il vostro lavoro, perdendo di vista le altre cose belle e ugualmente importanti della vita.
  4. Non posso pagarti, è un momento difficile. Forse questa è una delle frasi più agghiaccianti. Se si entra in un negozio per comprare un paio di scarpe si presuppone che si abbiano i soldi per comprarle. Quindi se un'azienda vi richiede dei servizi mettete subito in chiaro che ogni servizio ha un suo costo e che ogni servizio va regolarmente pagato.
  5. La tua attività non ha apportato nessun beneficio all'azienda. Per questo è importante creare dei report e spiegare che per ogni risultato serve del tempo consono. Mostrate i report con i dati e se sono davvero insoddisfacenti, può capitare. Il marketing e la comunicazione vivono di approssimazioni successive. C'è sempre la possibilità di regolare il tiro, perché non tutti gli aspetti di una strategia sono precisamente definibili in partenza. Cercate un dialogo su queste basi e assicuratevi di avere sempre una risposta propositiva e proattiva.

Infine imparate dagli errori. Nessun essere umano nasce già con l'esperienza per la vita. Perseguite l'umiltà senza mai perdere la vostra dignità. Studiate per avere basi forti e sappiate che si può sempre migliorare e imparare.

Per concludere ricordate la frase di Bill Gates e quando siete particolarmente giù di tono, ripetetevela come un mantra:

Se riesco a fare un lavoro in 30 minuti è perché ho speso 10 anni per imparare come farlo in quel tempo. Tu devi pagarmi per quei 10 anni, non per i 30 minuti. 

E in bocca al lupo!

 

NB: questo articolo è stato scritto nel rispetto di un linguaggio gender correct.


Viene prima il copy o la creatività?

È nato prima l'uovo o la gallina? Viene prima il copy o la creatività?

Questa è una domanda che affligge da sempre ogni social media manager e spesso, come la domanda sulla priorità dell'uovo sulla gallina non trova risposte. Spesso noi social media manager ci ritroviamo in questa situazione di delirio: dobbiamo scrivere prima il copy e poi pensare alla creatività o in base alla creatività dobbiamo formulare il copy? La questione si fa interessante e in questo articolo cercheremo di dare una risposta esaustiva in base alle necessità che abbiamo o in base alla situazione in cui ci troviamo.

In un mondo ideale il copy e la creatività rientrano in una strategia

Prima di tutto viene la strategia. Ebbene si. Il copy e la creatività, infatti, sono i due elementi fondamentali di un piano editoriale. Quando ci troviamo a creare una strategia di social media management per clienti, aziende e brand, è necessario che il quadro della situazione ci appaia subito chiaro. Quale obiettivo vogliamo raggiungere? Quale target vogliamo colpire? Quale offerta di prodotto vogliamo proporre al nostro pubblico?

Chiariti i termini ultimi di una strategia di comunicazione, già in fase iniziale, possiamo procedere con la creazione di un piano editoriale. Esso, come sappiamo, consta di copy e di creatività. L'appartenenza di questi elementi ad una strategia più ampia determinano la necessità di pensarli insieme. Nel mondo ideale del social media management, essi dovrebbero nascere, crescere e svilupparsi in contemporaneità. Dovrebbero essere coerenti l'uno con l'altro, perché insieme dovrebbero portare al raggiungimento finale di un obiettivo di brand awareness, di vendita prodotti o di generazione contatti, per citarne solo qualcuno.

Sappiamo, però, che nella realtà dei fatti non è sempre così, soprattutto se siamo freelance e dobbiamo lavorare a contatto con altre professionalità, a loro volta freelance. Inoltre le aziende non hanno sempre la possibilità di avere un reparto di marketing e comunicazione dedicato, e per questo si affidano ad altre professionalità che spesso non riescono ad avere un dialogo continuo fra di loro. E poi, spesso, le aziende non si fidano di chi sa fare il proprio lavoro, imponendo gusti e necessità tutte personali e che non riescono ad essere incluse in una strategia.

Per questo è necessario conoscere cosa sarebbe "il meglio", ma bisogna anche riuscire a barcamenarsi in situazioni più scomode. Vediamo come fare.

Se la creatività viene prima del copy

Ecco, questa è una delle situazioni più comuni: l'azienda ci fornisce già delle creatività e noi dobbiamo adeguare i copy e, ancor peggio, un piano editoriale strategico. Come fare?

Diciamo che questa non è una delle migliori situazioni per chi si occupa di social media management, ma è anche vero che è una delle situazioni più comuni. Soprattutto se non abbiamo una direzione creativa a cui fare riferimento o che ci possa supportare in un qualche modo.

Quindi:

  • cerchiamo di programmare comunque una strategia che ci serva come punto fermo per il nostro lavoro, con gli obiettivi che avevamo definito precedentemente con l'azienda;
  • analizziamo con calma e attenzione tutti i contenuti che ci sono pervenuti;
  • cerchiamo di trovare quelli che meglio si adattano alla nostra strategia (ce ne sarà sicuramente qualcuno che può tornarci utile per attuare il nostro piano);
  • diamo ai contenuti una certa coerenza (aggiungiamo un template identificativo del brand o magari il suo logo: a tal proposito Canva può tornarci molto utile);
  • scriviamo copy coerenti con i contenuti. È vero, ce li immaginavamo tutti diversi, ma ora che siamo in questa situazione dobbiamo usare tutti i mezzi a disposizione e tutta la nostra intelligenza per fare il nostro meglio con ciò che abbiamo.
  • mettiamoci in contatto con chi ha creato quei contenuti e cerchiamo di capire il perché ha pensato proprio a questo e non ad altro. Apriamo un dialogo e cerchiamo di trovare una via comune per capire anche il punto di vista altrui, mantenendo sempre saldi i nostri obiettivi.
  • creiamo un piano editoriale intelligente che possa creare un filo rosso coerente con copy, creatività e obiettivi.

Copy o creatività, in ogni caso mantieni la calma

Mantenere la calma è la condizione fondamentale del nostro lavoro. Non sempre le cose vanno come ce le immaginiamo o come, in teoria, dovrebbero andare. Quindi il mio consiglio è sempre quello di fare il meglio con ciò che hai, ma al contempo non perdere la certezza che un giorno le cose saranno esattamente come le desideri!

 

 

 


A branded copy: da dove partire per scrivere per un brand

Spesso, nel nostro lavoro di copywriter, ci chiediamo come fare a trovare le parole giuste per un brand. La domanda sorge spontanea nel momento in cui ci ritroviamo a far combaciare tecniche di vendita, ottimizzazione SEO e l'innata passione per la scrittura che dovrebbe caratterizzare l'atteggiamento di ogni copywriter.

Sono proprio questi i motivi che ci portano ad affrontare la questione: come faccio a scrivere un copy brand oriented? Lo vedremo insieme nel corso di questo articolo.

 

Come funziona un copy brand oriented

Qual è e come è un copy che funziona in una strategia di Digital Marketing brand oriented? È una domanda che non trova una risposta così scontata. Perché, soprattutto se ci troviamo nelle condizioni di dover scrivere post per un piano editoriale coinvolto in una strategia di Digital Marketing, dobbiamo tener conto di alcuni imprescindibili elementi.

Infatti, se il nostro copy viene letto sui social media, deve essere adatto a quella lettura. E sappiamo quanto sia estemporanea la lettura di post social. Spesso ci ritroviamo di fronte concetti sempre uguali, oppure molto confusi, oppure ripetitivi. In queste condizioni, lasciare il copy e passare ad un altro post e l'atteggiamento più spontaneo che adottiamo. Il sogno di ogni copywriter è che chi legge resti il più tempo possibile sul copy. Quindi, che fare?

Dalle keyword a un copy brand oriented

Affinché chi legge un copy sui social media arrivi alla fine del nostro copy, quel copy deve rispettare la brand identity del brand per cui stiamo scrivendo. È questa la questione più calda da affrontare. Perché un copy, esattamente al pari della grafica, deve rappresentare, deve riflettere ciò che quel brand vuole comunicare. Per questo uno dei motivi più frequenti di abbandono della lettura sta proprio nella difficoltà di chi legge, di connettere scrittura, immagine e brand.

E allora, oltre agli elementi imprescindibili di un digital copy, per cui vi rimandiamo alla lettura di un altro nostro articolo (https://www.lateraltelling.it/2021/11/08/im-a-copywriter-what-is-your-superpower/), bisogna considerare che le parole usate in un copy devono essere coerenti con il brand che raccontiamo.

Il primo passo è isolare le keyword del brand per cui scriviamo.

Produciamo un file in cui andiamo a collocare, attraverso una ricerca, tutte le parole chiave del brand per cui lavoriamo. E dove possiamo trovare le keyword adatte? Facile! Innanzitutto osserviamo il nostro brand, studiamolo, cerchiamo di coglierne tutte le sfumature, parliamo con le persone che lo hanno creato o che già ci lavorano.

Dopo di che, avvaliamoci di tool molto utili al nostro obiettivo: tra questi vi indichiamo alcuni che a noi piacciono molto, come AnswerThePublic (https://answerthepublic.com/), Seozoom (https://www.seozoom.it/) e SEMRUSH (https://it.semrush.com/analytics/keywordmagic/start).

Ovviamente ce ne sono molti altri e una facile ricerca su Google potrà svelarvelo. Questi, però, restano i nostri preferiti. Per i tool che vi abbiamo appena linkato esistono dei piani a pagamento non proprio economici, ma c'è anche la possibilità di accedere a prove gratuite o a ricerche limitate se vogliamo testare qual è quello che "ci veste meglio".

Il potere delle keyword in un copy

Il potere delle keyword è forte. Perché? Ve lo ricordate il famoso campo semantico che ci facevano scrivere in seconda o terza elementare per comprendere un testo? Ebbene, lo studio delle keyword non si distanzia molto da quel concetto. Un copy scritto nel rispetto delle keyword dell'azienda, ma anche e soprattutto delle ricerche che le persone effettuano sul web in base a quell'argomento, sarà un copy vincente:

  • perché saprà rispondere ai quesiti richiesti
  • perché interpreterà il brand
  • perché creerà un rapporto tra chi legge e l'azienda
  • perché sarà esaustivo e non sarà mai off-topic

Ovviamente, la forza di chi svolge il mestiere di copywriter sta proprio nel saper usare quelle stesse parole in modo sempre creativo, innovativo, avvincente, divertente, talvolta ironico, sempre leggero.

Fermi questi presupposti, iniziamo la nostra ricerca. Sarà divertente e ci porterà a risultati sperati.

 

 

 

 


Perché Facebook aiuta un/a social media manager

Facebook è l'origine di tutto: insomma, se non esistesse il social dei social, il nostro lavoro come social media manager non sarebbe neanche un lontano e utopico presagio.

Facebook che ha creato i suoi tool per la programmazione dei post, ovvero Creator Studio e Business Suite. Questi tool sono utili soprattutto a chi gestisce profili social Facebook e Instagram. Il loro primo valore aggiunto? L'essere completamente gratuiti, a differenza di altri e pur validi tool come Hootsuite, Later, Buffer o Sprout Social. I tool appena nominati, infatti, prevedono tutti piani a pagamento. Certo, è possibile anche registrarsi in maniera completamente gratuita, ma per accedere a servizi più utili e specialisti, i piani prevedono tutti una registrazione a pagamento.

Per questo, personalmente, mi sento di consigliare subito di partire proprio da Facebook e iniziare ad esplorare questo mondo.

Creator Studio e Business Suite: programmazione e dati utili

Creator Studio e Business Suite sono i due tool totalmente gratuiti di Facebook a cui qualunque social media manager non può rinunciare.

Essi forniscono la possibilità di programmare i post, di visionare la loro calendarizzazione, ma soprattutto ci forniscono dati utili per comprendere le performance delle nostre pagine social.

Ad esempio, nella versione più aggiornata di Creator Studio, sulla sinistra, tu social media manager neofita o esperto, troverai quella meravigliosa voce detta Insight, che ti sintetizzerà i due dati più importanti per capire l'andamento del tuo profilo: persone raggiuntenumero di interazioni. Questi dati sono rilevanti perché ci consentono di calcolare l'engagement rate, ovvero, il tasso di coinvolgimento degli utenti sulla nostra pagina.

Inoltre, Creator Studio, ci dà la possibilità di definire il periodo temporale per il calcolo dei dati: in questo modo potremo valutare l'andamento del nostro lavoro nel tempo. Se incrociamo questi dati con i contenuti pubblicati, potremo sistemare il nostro lavoro e ridefinirlo in base alle necessità dei nostri clienti, ai trend del mercato e agli obiettivi che ci siamo dati.

Inoltre in Creator Studio sarà possibile operare all'esportazione dei dati. Possiamo, quindi, personalizzare i dati secondo le nostre preferenze con il file automaticamente generato nella voce Esporta dati, in alto a destra.

Anche su Business Suite potremo controllare la voce Insight, ma solo per quanto riguarda i dati che corrispondono alla copertura. La copertura indica quante persone sono state raggiunte in organico o a pagamento attraverso le campagne pubblicitarie.

Business Suite ti sarà più utile per rispondere direttamente ai messaggi che arrivano sui profili Facebook e Instagram e per procedere alla pianificazione di campagne pubblicitarie, aspetti che Creator Studio non contempla.

Facebook for Business: guida per social media manager

Il più grande limite per chi vuole essere un social media manager è intuire quale sia il percorso di formazione migliore. Ad oggi, infatti, non esiste un percorso di formazione univoco per diventare social media manager e questo, spesso, porta molta confusione.

Ma Facebook ha pensato anche a questo: Facebook for Business (https://www.facebook.com/business) è il meraviglioso vademecum per social media manager. È una sorta di libro delle risposte, dove potrai chiarire tutti i dubbi che riguardano il tuo lavoro e farlo nel modo più chiaro e semplice possibile. Inoltre Facebook for Business rappresenta una fonte univoca di informazioni legate al social network, che ti guida sia nei dubbi amletici sui contenuti, che sulla natura e la performatività delle campagne pubblicitarie. Insomma, una volta scoperto non potrai più farne a meno!


La grammatica non è un'opinione, neanche sui social

Spesso social media manager, content writer, blogger, non possiedono una formazione adeguata al mestiere che hanno scelto, alle professionalità a cui hanno deciso di votare la propria vita professionale. E la differenza, ve lo possiamo garantire, non lo fa un titolo di laurea o le decine di titoli o di corsi di formazione che si possono fare, ma la propensione naturale ad approfondire, a fare ricerca, a fare la differenza con la propria personalità. Ciò nonostante ci sono delle regole che non possono essere ignorate, a prescindere dalla formazione o dalla propria personalità; tra queste regole della lingua, sicuramente c'è la grammatica.

La grammatica non è un'opinione, anche se fastidiosa

Una delle materie scolastiche più detestate e odiate, oltre la temuta matematica, è la grammatica. Ma per quanto sia detestabile, la grammatica resta la base imprescindibile per scrivere bene e per comunicare anche bene. Un testo, un copy, un articolo ben scritto e che possa arrivare all'obiettivo che ci siamo prefissati, non può prescindere dal rispetto di semplici regole che rendono la nostra lingua italiana un patrimonio prezioso.

Alcune persone considerano la grammatica un insieme di regole inutili, perché tanto possiamo essere comprensibili lo stesso. Niente di più falso. Immaginate per un momento quando sentite parlare una persona straniera: sbaglierà sicuramente qualche costrutto o qualche regola di formazione del plurale o di uso delle voci verbali. La prima reazione è il riso e, per le personalità più intransigenti, anche lo scherno.

Ma tra tutte le persone che parlano e scrivono l'italiano come lingua madre, quante possono dire di conoscerlo davvero? 

Gli errori grammaticali più comuni nella scrittura digitale

Vediamo insieme, quindi, quali sono gli errori più comuni nella scrittura digitale di copy, blog e articoli.

La consecutio temporum: i tempi verbali (oltre che l'uso corretto dei loro modi) rappresentano una delle spine più difficili. Ci sono tre tipi di legami che collegano le nostre azioni: contemporaneità, posteriorità anteriorità. A questi legami corrispondono gli usi di presente, futuro e passato. Quindi, tra proposizione principale e proposizione subordinata, in base al legame, dovrai scegliere il tempo più adeguato, in base ovviamente al modo.

La punteggiatura non è casuale:

  • i tre puntini di sospensione, tanto ingiustamente abusati, vanno posti solo se una frase (di solito in un dialogo) indica un concetto sospeso;
  • la virgola solo dopo il ma, in un elenco di elementi o per incidere una frase (che sarà comunque subordinata);
  • il punto e virgola, meravigliosa creatura mitologica, si usa quando il concetto della frase non si è concluso, ma si dispiega successivamente e in maniera leggermente diversa rispetto alla frase principale;
  • i punti esclamativi indicano un urlo e sappiamo quanto urlare non sia mai consigliato in un contesto di comunicazione.

Il verbo essere vuole l'accento grave, non l'apostrofo, perché l'apostrofo non sostituisce l'accento. Imparate a farlo da scorciatoia di tastiera, quando dovete scriverlo maiuscolo. Basta cliccare alt212 e il gioco è fatto.

L'articolo indeterminativo un vuole l'apostrofo se davanti ad un nome femminile.

L'avverbio piuttosto non sostituisce la congiunzione eccettuativa "o", ma serve a rimarcare una preferenza.

L'uso della lettera maiuscola solo per i nomi propri e non per intere frasi, che vi faranno sembrare delle scimmie urlatrici.

Ogni tanto andate a capo: paragrafare è fondamentale nella scrittura digitale, perché aiuta chi ci legge a memorizzare e fissare tutti i concetti che vogliamo comunicare e anche la loro priorità nell'equilibrio totale di tutto il contenuto.

Gli hashtag non sono parole; essi hanno una funzione ben specifica nelle dinamiche della scrittura strategica digitale. Non ne abusate, ma soprattutto non sostituite le parole con gli hashtag dove non servono, perché renderanno la lettura più macchinosa.

La grammatica migliora la comunicazione

Un testo scritto bene è un testo leggibile e un testo leggibile è un testo che riesce a comunicare ciò che vogliamo e ciò che serve al nostro target.

Scegliamo il potenziale di differenza, scegliamo la bellezza che è anche sinonimo di qualità e funzionalità. Il resto verrà da sé.

 

NB: questo blog è stato scritto nel rispetto delle diversità, con una lingua volutamente inclusiva.

 

 

 

 


L'uso del genere femminile cambia la percezione delle donne

Spesso ci chiediamo se tutta questa attenzione sull'uso di una lingua verbale, scritta e parlata, inclusiva sia davvero giustificata. Insomma, è proprio necessario prestare attenzione a usare forme inclusive che possano far sentire tutte le persone a cui vogliamo rivolgerci davvero prese in considerazione? Oppure è solo una moda o un capriccio del momento? Ci chiediamo se quando parliamo dobbiamo davvero fare attenzione a dire sindaca piuttosto che sindaco se ci stiamo rivolgendo ad una donna. Così come ci chiediamo se l'uso del genere femminile nella lingua parlata e scritta possa davvero apportare un cambiamento alla percezione che si ha della donna e di tutte le persone che non si identificano in un genere eteronomativo.

Ebbene la risposta è sì. Perché il nostro modo di percepire il mondo è anche plasmato sulla lingua che usiamo per descriverlo. Se dunque, nella nostra lingua non c'è spazio per le donne nelle professioni che storicamente sono degli uomini o non c'è spazio per includere tutte le persone che fanno parte della nostra realtà, allora non ci sarà mai spazio per loro nell'avere un riconoscimento reale nel mondo.

Vediamo insieme perché.

Il genere femminile non è cacofonico

Molte volte, coloro che preferiscono non usare il genere femminile, per esempio nelle professioni, si nascondono dietro la scusa che il femminile sia cacofonico. Se fosse davvero così, parleremmo ancora il latino. Per fortuna la lingua si evolve e non c'è modo di fermarla. Una volta che l'inconscio collettivo accetta per buono un determinato termine, secondo la regola consuetudo norma legis, quel termine inizia ad entrare di diritto nella lingua sia scritta che parlata.

Indi per cui, sindaca, ingegnera, architetta, notaia, avvocata, ministra, non sono termini cacofonici, ma sono solo dei termini nuovi a cui abbiamo solo bisogno di abituarci. Il fatto che non siano stati mai usati nella lingua scritta e parlata fino a qualche anno fa, dipende dall'impossibilità per le donne di accedere a delle cariche pubbliche o a delle professioni che sono sempre state appannaggio degli uomini.

Ma ora le donne rivendicano il proprio diritto a vedersi riconosciuti quei posti che sono stati loro preclusi per anni, per centinaia di anni. E questo riconoscimento, inizia in modo solo apparentemente banale, dalla lingua nel suo uso quotidiano sia scritto che parlato.

L'uso del genere femminile verso l'inclusione

Il compito di noi che lavoriamo nel mondo della scrittura creativa e strategica è intercettare questi cambiamenti e tradurli in strategie e piani di comunicazione. L'uso del genere femminile sottintende l'uso di forme nel linguaggio più inclusive; per questo, per rivolgersi a tutto il nostro target, senza che nessun elemento si senta escluso o messo da parte, cerchiamo di usare maggiormente le perifrasi e non i generi netti, a meno che non ci stiamo rivolgendo sicuramente a un genere preso in considerazione, inventiamo modi linguistici per creare un mondo più inclusivo e rispettoso di tutte le persone che lo vivono, abbattiamo gli stereotipi, come quello dell'uso del sostantivo "uomo" per riferirsi a tutta l'umanità.

Un nuovo mondo è possibile. Cominciamo a costruirlo dalle parole che utilizziamo per raccontarlo.

A tal proposito vi consigliamo vivamente la lettura del testo https://www.effequ.it/saggi-pop/femminili-singolari/

Un testo meraviglioso che vi aiuterà ad approfondire l'argomento.

N.B.: LateralTelling usa forme di lingua inclusiva, nella sua vision di Scrittura Creativa Strategica Digitale


Come nasce un brand? Da ciò che sai fare meglio

La domanda è scottante: qual è la cosa che sai fare meglio? Così su due piedi, la maggior parte di noi avrebbe serie difficoltà a rispondere. Ed è proprio per questo che vogliamo spiegarti perché è importante chiedertelo e perché quella risposta, che sembra così banale, in realtà è fondamentale.

Ciò che sai fare meglio è alla base del tuo brand (o del tuo personal branding)

Quando a Steve Jobs rimproveravano il fatto di "non saper fare nulla", perché in effetti il caro vecchio Steve non era un ingegnere, non era un informatico, non era uno sviluppatore o un designer, lui rispondeva prontamente di avere l'innata e rara, aggiungiamo noi, capacità, di saper unire i puntini. Insomma, Steve aveva capito cosa riusciva a fare meglio: era capace di avere la visione totale. Lui guardava il prodotto finito, aveva in mente il sogno per intero, non le sue singole parti, vedeva già cosa ci fosse oltre ogni singolo step che avrebbe definito la creazione di un qualsiasi progetto.

E tu, sai qual è la cosa che sai fare meglio? Ti ricordi quando a sei anni ti chiedevano: e tu cosa vuoi fare da grande? A volte ci affidavamo ai nostri sogni, altre volte pensavamo alla cosa che sapevamo fare meglio e di lì derivava la risposta. Quando inizi il tuo percorso di costruzione di un brand o del tuo personal branding la domanda che devi porti è sempre quella che ti ponevi a sei anni: cosa so fare meglio? Qual è la cosa che più mi appassiona in assoluto? Dove posso dare i risultati migliori? Cosa mi piacerebbe imparare di nuovo?

Ciò che sai fare meglio diventa il cuore del tuo brand, del tuo business o del tuo personal branding. 

La costruzione del tuo brand passa dalla tua più grande passione

Diciamocelo francamente: il mondo è pieno di gente che lavora ad obiettivi che non sono suoi, ma ci lavora perché sono obiettivi convenienti. Ma se invece di perseguire obiettivi che non senti tuoi, solo perché secondo le statistiche, ti portano dei guadagni maggiori, ti focalizzassi su ciò che desideri tu davvero e lo facessi diventare il tuo core business?

Banalmente, ti piace il mondo del marketing e della comunicazione? Ti appassiona più di ogni altra cosa? La consulenza di marketing strategico è il tuo cavallo di battaglia? Benissimo, significa che il tuo brand, il tuo business, ma anche il tuo personal branding dovranno essere incentrati su quello. Facciamo un altro esempio, questa volta con la fotografia. Fotografare è ciò che ti rende fiero di esistere? Ebbene che aspetti? Molla il tuo posto in banca e corri subito a creare il tuo business. Segui il tuo istinto naturale, crea il tuo business partendo da te. Il mondo del lavoro, oggi, ha bisogno di persone felici che possano lavorare in maniera produttiva e per farlo ognuno ha bisogno, in realtà di esprimere ciò che di più bello ha dentro e che gli conferisce il suo personalissimo margine di originalità.

Equilibrio tra competenze e costruzione di un brand

Attenzione però! Non dimenticare un aspetto fondamentale nella costruzione del tuo brand, del tuo business e del tuo personal branding. Avere una propensione naturale a fare qualcosa, saperla quindi fare bene in maniera del tutto spontanea, non basta per poter avviare il vostro percorso nel marketing e nella comunicazione.

Se io so cucinare, non è automatico che io sia una cheffa. Infatti, la formazione continua è quella che caratterizza la qualità della tua proposta sul mercato. 

Il tuo talento naturale va individuato come base, come trampolino di lancio, ma poi arriva il bello. Quanto del nostro tempo, della nostra energia e delle nostre risorse siamo in grado di "perdere" in favore di un sogno, di un progetto e del perseguimento dello stesso? Possiamo davvero affidare la nostra vita solo ad una passione? La risposta è no. La passione è il cuore di un brand e la si percepisce quando è reale. Pensiamo a Apple, Ferrari, Missoni: sono brand nati da una passione e non dalla moda del momento.

A questa passione, però, è seguita una formazione ed un lavoro costante che hanno consentito a quei brand e ai loro protagonisti di diventare dei veri e propri punti di riferimento nei settori di competenza.

E tu? Puoi perdere qualcosa per il tuo brand?

Se avrai finito di leggere questo articolo ti saranno rimaste fisse in mente due domande: qual è la cosa che sai fare meglio? a cosa vorrai rinunciare per la creazione del tuo sogno?

E se avrai risposto a queste domande, anche con risposte ancora un po' fumose, non preoccuparti. Vorrà dire che sarà arrivato il momento di contattarci per iniziare a sognare insieme.