Creativo è strategico

Cos'è creativo? E quale relazione c'è tra il creativo e lo strategico? Secondo Bruno Munari, pittore e designer, la creatività è "tutto ciò che prima non c'era ma realizzabile in modo essenziale e globale." (Fantasia, Editori Laterza 2022, 13).

Quindi, in sostanza, creativo è tutto ciò che possiamo pensare, progettare, che precedentemente non esisteva e che viene realizzato in modo essenziale e globale, perché può rivolgersi a tutti, tutti possono coglierlo. Creativo è tutto ciò che si riferisce anche ai campi economici, sociali, quindi pragmatici della vita umana. È per questo motivo, proprio partendo dalle parole di Munari, che tutto ciò che è creativo è necessariamente anche strategico.

Un'opera creativa è un'opera strategica

Quando un creativo crea, lo fa dal nulla, perché tutto ciò che crea non esisteva in precedenza. Ciò nonostante, un'opera creativa non nasce dal caso. Un'opera creativa è frutto di una strategia a monte, perché nasce per rispondere ad un'esigenza.

Pensiamo per un attimo di dover creare, ad esempio, un naming o un logo per un brand. Potremo farlo in maniera spontanea, come se fossimo un bambino che dà il nome al suo nuovo peluche. Ciò che ne verrà fuori magari potrà essere anche bello, forse essenziale, ma sicuramente non globale. Perché? La risposta è semplice: perché non sarà stato frutto di una strategia. Non avremo pensato a chi effettivamente vuole rivolgersi, non avremo pensato quale obiettivo deve raggiungere e quale idea deve interpretare.

Per questo, è necessario che alla base di una qualsiasi opera creativa ci sia una strategia.

La strategia aumenta la creatività

A differenza di ciò che si può pensare, agire all'interno di regole, aumenta la possibilità di sviluppare le capacità creative. Questo accade perché le regole "imposte" da una strategia di posizionamento riescono a restringere il campo, ma allo stesso tempo, ampliano molto di più le opportunità e le visioni sul particolare.

Quindi, pensiamo strategico prima di buttarci a capofitto nella creatività sognando di essere Munari. I risultati non tarderanno ad arrivare.


Cosa fare se non hai budget?

Si sa, la comunicazione e il marketing hanno i suoi costi ed è inutile negarlo o arrampicarsi sugli specchi con giustificazioni inutili e sterili. Spesso i brand fanno l'errore di non considerare il budget che dovrebbero investire in azioni di marketing strategico e di comunicazione. Anzi, è molto probabile che in un periodo di crisi o quando c'è da risparmiare, il primo comparto a risentirne sarà proprio quello della comunicazione.

Ma se non comunichi non esisti. E quindi, è molto probabile che anche le vendite ne risentano. Per questo non bisogna mai dimenticare che una parte degli investimenti dovrà essere dedicata alle attività di marketing e di comunicazione, nell'obiettivo di una crescita sempre più progressiva del brand.

Poniamo però il caso che il tuo sia un brand appena nato e che tu non abbia ancora un budget sostanzioso da investire in strategie di marketing e di comunicazione. In realtà, negli investimenti iniziali dovrai considerare questo come un investimento necessario. Ma c'è la possibilità che tu non l'abbia fatto.

E per la serie a tutto c'è una soluzione, vediamo cosa potrai fare se non hai raccolto ancora un piccolo budget da investire, ma dovrai comunque cercare di darti un minimo di visibilità online.

Strumenti efficaci partendo senza budget

Sintetizzeremo qui alcuni strumenti e metodi efficaci (ma non troppo) da tenere in considerazione se siamo in quella fase della nostra storia aziendale in cui stiamo "facendo cassa" per poter investire in strategie di marketing e comunicazione future.

Lavora sodo al tuo brand o personal brand

Posizionati, nel senso, abbi a cuore prima di tutto la natura e il posizionamento del tuo brand o del tuo personal brand (qualora tu abbia deciso di fare di te un brand). Avere un carattere ben definito e una proposta di vendita chiara ti aiuterà maggiormente a capire quale pubblico di interessa e attrarrà naturalmente il pubblico che avevi puntato, quello che vorresti fosse tuo fedele per sempre.

Crea una rete e sfrutta il passaparola

Tutti abbiamo avuto il primo cliente, la prima azienda, la prima volta, insomma. Anche tu hai sicuramente un punto, anche uno solo da cui partire. Immergiti in quello, sfruttalo e fai in modo che quel punto di partenza sia come l'inizio di una ragnatela. Il tuo obiettivo, da adesso in poi, sarà quello di fare rete, di svilupparla proprio partendo da lì. La rete di conoscenze e il passaparola sono strumenti potentissimi ancora oggi per farci conoscere e dare prova di ciò che possiamo fare.

Impara a usare al meglio Linkedin

Linkedin è il social del lavoro per eccellenza; se impari a usarlo bene e a muoverti al suo interno, potrai trovare tante opportunità. Potrai cercare nuovi clienti e potrai fare in modo di usarlo anche come vetrina per mostrare le tue competenze, le potenzialità del tuo brand/personal brand. Linkedin ci dà la possibilità di scrivere newsletter, di condividere attività e di interfacciarci con altri professionisti dei settori che ci interessano.

Risparmia e non cercare risultati veloci

La nostra società ci ha insegnato a essere sempre super veloci e altamente performanti, facendoci dimenticare che per tutto ci vuole tempo. Se hai in mente un sogno non lasciarlo andare e abbi ben chiaro che i soldi che investirai in strategie di marketing e in comunicazione sono altamente necessarie per il tuo brand o personal brand. Per questo lavora sodo e risparmia i tuoi soldi (parte di essi) in un'ottica di più lungo respiro. I risultati veloci non ti faranno arrivare da nessuna parte. Impara ad aspettare.

Senza budget non avrai comunque speranze

Questi consigli elencati su possono essere validi per un periodo, ma non credere che potranno essere validi sul lungo periodo se sogni di crescere davvero.

Al di là di tutte le belle storie che possiamo raccontarci, se non hai budget da investire in marketing e comunicazione è meglio che, dopo un periodo di rodaggio, fai calare il sipario sul tuo brand o personal brand. E chi ti dovesse dire il contrario, sta mentendo miseramente.

 

 


Un brand è una persona

Un brand è una persona perché sono le persone a fare i brand.

A chiunque è capitato, almeno una volta nella vita, di subire quell'ingrata frustrazione e delusione nell'accorgersi che una persona che abbiamo conosciuto online, offline, ovvero nella vita reale, è diversa da come appariva online. È subito sorta la domanda: "e ora che faccio?" Poi, magari con il tempo, è arrivata la conoscenza e ci siamo resi conto che non era poi così male.

Evitare, però, il gap tra online e offline è fondamentale! E, dal momento che i brand "funzionano" come le persone, perché i brand sono fatti dalle persone, è importante evitare quel fastidioso divario tra online e offline.

Spesso succede che la comunicazione online dei brand, specie di quelli che non conosciamo ancora, ci cattura. Poi, però, l'esperienza offline appare distante da quella comunicazione. L'effetto è che i consumatori abbandonino il brand dopo il primo utilizzo.

Come fare a integrare online e offline?

Ci sono dei piccoli accorgimenti che un brand può utilizzare per integrare la sua percezione online e offline.

  1. Creiamo connessioni esperenziali: proponiamo esperienze che possano essere un filo rosso tra ciò che il brand mostra online e ciò che è disposto a proporre offline;
  2. Diamo un'immagine coerente: colori, forme, materiali comunicati online devono corrispondere a quelli che i consumatori troveranno offline. Inoltre il prodotto comunicato online dovrà essere quanto più fedele a se stesso anche offline, quando il consumatore lo utilizzerà davvero. Il prodotto del brand diventerà così insostituibile, regalando ai consumatori un sogno, risolverà davvero un loro problema e sarà insostituibile.
  3. Un brand è come una persona: i consumatori intrecciano vere e proprie relazioni umane con i brand e coltivare quella relazione, darle la giusta cura, sarà il presupposto per un rapporto durevole nel tempo, contro la corrosività contemporanea.

Persone oltre i prodotti

Come ci ricorda Giuseppe Morici in Fare marketing rimanendo brave persone. Etica e poetica del mestiere più discusso del mondo (Feltrinelli 2019),

(...) un brand crescerà tanto quanto sarà in grado di andare a fondo nel terreno umano, oltre i primi strati superficiali della razionalità e della funzionalità dei prodotti. (p. 51)

È una lezione sempre valida, soprattutto oggi, perché è sempre maggiore la voglia dei consumatori di sentirsi umani. Non dimentichiamolo!

 

 


Cosa sai del Visual Storytelling?

Cosa sai del visual storytelling? Ma soprattutto, sai di cosa stiamo parlando quando parliamo di visual storytelling? Bene, se non sai dare una risposta a queste domande o se la tua risposta ti appare ancora confusa, sei nel posto giusto.

La nostra è una società visual

Da quando c'è stata, nel Secondo Dopoguerra, la diffusione dei mezzi di comunicazione di massa, e in particolar modo, in quel frangente storico, la televisione, la società occidentale è diventata una società visual. Non ci perderemo in trattazioni storiche. Ciò che ci interessa sapere che una società visual è una società dove vige il potere dell'immagine e dove la percezione visiva ha ovviamente la meglio su tutti gli altri sensi. 

Basti pensare che perfino il cibo, da qualche anno, considerato uno dei business più floridi e che non conosce crisi, ha bisogno dell'impatto visivo per essere comunicato. Perché, ovviamente, la società visual necessita di strategie di comunicazione che siano visual.

Ma una strategia di comunicazione non si inventa così su due piedi. Infatti non tutte le persone che creano contenti sui social media sanno e possono comunicare. E anche se i social sono uno strumento accessibile senza limiti, chi ne fa uso, talvolta, presenta molti limiti.

Il nostro potrà sembrarvi anche un atteggiamento un po' snob. ma purtroppo è la verità. Nulla è frutto di un'illuminazione temporanea o, a patto che lo sia, dopo per fare in modo che le cose funzionino e vadano per il verso giusto, ci vuole strategia.

ll visual storytelling è una strategia di comunicazione

Metodo di comunicazione prescelto nelle strategie di Inbound Marketing è il visual storytelling. L'immagine, che sia ferma in grafica o in fotografia, o che sia mobile in video, è senza dubbio più immediata rispetto alla parola scritta e al linguaggio verbale. Questo deriva da una necessita ancestrale dell'essere umano di vedere e vedere dà una percezione immediata del tutto a scanzo di equivoci.

Chiaramente per fare in modo che tante persone condividano ciò che stanno vedendo, dobbiamo tenere in considerazione il fatto che le immagini che vedono si basino sul linguaggio comune dell'inconscio collettivo.

La prima regola, quindi, per un visual storytelling che funzioni è capire se la visual strategy proposta possa avere potenzialmente  presa sul maggior numero di persone a cui si propone e che queste persone possano trovarla condivisibile.

Quindi, affinché ci sia un visual storytelling, c'è bisogno che ci sia una persona in grado di scrivere quella storia e cosciente che quella storia dovrà essere tradotta in immagine.

Il ruolo del Word Designer nella creazione di un visual storytelling

Perché parliamo dell'esigenza di avere una persona che si occupi di word design, piuttosto che solo di copywriting, nella creazione di un visual storytelling?

A differenza di chi fa copywriting, chi fa word design è consapevole che la sua storia debba essere tradotta in immagini e che quelle immagini debbano essere poi assemblate in un contenuto da diffondere su diversi canali. Pertanto, scrivere un visual storytelling per uno spot pubblicitario non è la stessa cosa che scrivere un visual storytelling per video Reel di Instagram o ancora per uno slideshow di una copertina di una pagina Facebook.

Ci sono delle differenze sostanziali legate al canale di comunicazione che chi si occuperà di visual storytelling deve conoscere e deve maneggiare con grande fermezza. La differenza primaria e imprescindibile è data dal mezzo di comunicazione; a questo seguirà un'analisi dettagliata del target a cui ci stiamo rivolgendo, del contesto socio-culturale e storico in cui quel contenuto sarà diffuso, oltre che della natura del brand che stiamo comunicando e della sua vision.

Presto analizzeremo le differenze che abbiamo sopra elencato; per ora meditiamo sul fatto che per un visual storytelling (se ci occupiamo di Word Design) ci servirà una grande capacità di analisi, la propensione a scrivere in maniera trasversale e laterale, affinché il nostro contenuto possa trasformarsi in un'immagine e all'abilità di saper parlare alla pancia e alle emozioni basilari di chi ci guarderà, per lasciare dentro una memoria. Ci si augura, indelebile.

 

 


Elementi di Word Design: copy brand awareness e copy vendita

Sai che differenza strutturale c'è tra un copy scritto per una strategia di brand awareness e un copy scritto per una strategia di vendita? Si, c'è differenza e molta.

Innanzitutto dobbiamo dire che una strategia di brand awareness e una strategia di vendita possono avere decine di sfaccettature: sicuramente parlare al singolare di questi temi non è proprio conveniente, per comprendere appieno la complessità dell'argomento. Infatti, ci sono strategie differenti in base al settore merceologico di riferimento del brand che ci interessa. Per quanto riguarda, invece, le strategie di vendita, bisogna considerare fattori come la vendita online o la vendita al dettaglio in un negozio fisico. E anche rispetto a queste piccole differenziazioni, resta la difficoltà di avere uno sguardo di insieme.  Ciò nonostante si rende necessario sintetizzare in questo momento, per esigenze pratiche.

L'obiettivo di questo articolo è, pertanto, cercare di fornirvi gli strumenti di base per capire che un copy di design non è innanzitutto un copy qualsiasi e che in base alle strategie da adottare, la sua natura cambia molto.

Word Design nella brand awareness

Cosa differenzia intimamente questi copy e li rende elementi di word design?

Innanzitutto l'obiettivo preposto in partenza.

Poniamo il caso dovremo scrivere un copy per una strategia di brand awareness e il brand in questione è un brand con zero storia, un brand nuovo e ancora non conosciuto.

Gli elementi che dovremo necessariamente mettere in risalto sono tre:

  • come il brand cambierà in meglio la quotidianità delle persone che andranno a consumare i suoi prodotti e servizi;
  • quale obiettivo il brand si prefigge di raggiungere con i suoi valori
  • brevissimo resoconto di brand identity

Inoltre dovremo scrivere il nostro copy in maniera che sia adatto a tutti i posizionamenti di comunicazione online e offline. Pertanto, per la comunicazione online dovremo considerare i canali social su cui il brand viene comunicato e i posizionamenti nel circuito pubblicitario di Google ads e Facebook ads. Per la comunicazione offline dovremo comprendere nel nostro lavoro la scrittura di un claim che possa essere incisivo e possa, in due o massimo tre parole, sintetizzare tutti i tre elementi elencanti prima.

Per questo il linguaggio dovrà essere semplice, chiaro e diretto. Non provate a persuadere le persone, piuttosto trasmettete loro un senso di fiducia e proattività. Il vostro brand cambierà la loro vita in meglio ed è questo che dovrete sempre ricordare loro.

Word Design nella vendita

Nella strategia di vendita (ricordando sempre quanto differenti possano essere le diverse tipologie in cui essa si può declinare) un copy che possa essere considerato di word design, deve considerare tre elementi imprescindibili alla sua realizzazione:

  • quali sono i vantaggi reali e tangibili del prodotto che stiamo offrendo
  • di che prodotto stiamo parlando
  • cta (call to action), affinché il nostro target possa compiere un'azione che sia l'acquisto diretto o la prenotazione

Il linguaggio e la sintassi del copy, a differenza di quelli di brand awareness, questa volta potranno essere più persuasivi, perché il loro obiettivo finale è quello di portare il nostro pubblico a diventare un pubblico consumatore.

Come farà il nostro copy ad essere adatto a tutti i posizionamenti della comunicazione online? Per rispondere a questa domanda, dovrete sempre tener conto che l'header del copy rappresenta la parte più importante. Se, infatti, riuscite a catturare l'attenzione di chi legge già nell'header, la lettura del body e del footer saranno agevoli, naturali. E per questo chi ci legge compirà l'azione che avremo segnalato e consigliato alla fine del copy.

Non lasciatevi ingannare: il word design è una cosa seria

Se vi dicono che per scrivere un copy ci vogliono cinque minuti, voi fatevi una risata e scappate a gambe levate.

Il potere delle parole è immenso. Fateci caso: noi costruiamo il nostro mondo per mezzo delle parole e delle immagini che usiamo e che ci vengono proposte. Se leggiamo falsità, ce ne accorgiamo. Se vediamo immagini che non rispecchiano la realtà, ce ne accorgiamo.

Oggi, per i brand, è importante adottare una comunicazione che ispiri familiarità e buon senso. C'è una stanchezza diffusa e le persone non ce la fanno più a sentir parlare di quanto i brand siano fenomenali nel migliorare le vite altrui. Sicuramente ogni prodotto, ogni visione, porta con sé un bagaglio di valori e un buon margine di novità. Per questo è importante individuare dei metodi che possano far fluire la persona da una parte all'altra, creandole attorno un atmosfera non solo famigliare, ma anche fluida, naturale, calda e partecipativa.

 

 

 

 


Come riconoscere il/la cliente di merda

Questo è un articolo di sostegno per chiunque lavori nell'ambito della comunicazione e del digital marketing. Spesso le persone che vengono a chiederci un servizio, non hanno assolutamente chiaro che servizio stiamo proponendo loro, ma sono convinte di conoscere a fondo queste dinamiche.

Il/la cliente di merda sono le persone che nutrono l'assurda e irreale certezza di sapere cosa farai per loro. Ma loro sanno di non saperlo fare e, per questo si rivolgono a te. E spesso, dacché ti pagano, pensano di poter esercitare un totale controllo sul tuo tempo e sul tuo modus operandi.

Niente di più sbagliato!

In questo blog ti aiuteremo a capire come poter fronteggiare il/la cliente di merda, quali sono le tecniche e le buone maniere per intrecciare rapporti lavorativi duraturi e sereni. Perché il nostro obiettivo non è farci la guerra, ma cercare la strada meno dolorosa per avere il massimo dei risultati.

Il nostro è un paradigma win-to-win, dove chi partecipa vince, comunque vada. 

Riconoscere il proprio valore

Lo sappiamo, quando si comincia si prende chiunque. Agli inizi di una carriera, infatti, qualsiasi cliente ci sembra la Luna: può apportarci dei guadagni, può farci fare esperienza, può permetterci di pagarci il nuovo Mac che abbiamo adocchiato. E così, presi dagli entusiasmi tipici dei neofiti, si finisce per prendere chiunque, davvero.

Dopo poco tempo inizi a renderti conto che, probabilmente, quello/a che sembrava un tenero agnello, in realtà è una iena feroce, con tanto di artigli pronta a farti a brandelli. Ebbene, è proprio in questo momento che devi comprendere quale è il tuo reale valore. Hai studiato, hai fatto formazione, hai profuso tutto l'impegno possibile e immaginabile, hai passione e stoffa per fare ciò che fai, ma soprattutto hai scelto di farlo. Questo è davvero importante. Il tuo valore non si può barattare per pochi euro. Alza la testa e non abbatterti.

I tratti costanti per il/la cliente di merda

Vi elenchiamo qui dei tratti costanti che caratterizzano il/la cliente di merda, a prescindere dalla sua provenienza o dall'attività che gestisce:

  • è scortese con chi lavora al suo fianco. Ricorda, i dettagli fanno sempre la differenza e rivelano chi è realmente la persona che hai di fronte. Un grazie non detto, un consiglio non dato, una risposta poco felice sono particolari non trascurabili per te, che stai per lavorare con il/la cliente di merda.
  • non rispetta le scadenze, ma pretende da voi tempi strettissimi. Quando si tratta di pagare il/la cliente di merda tirano fuori mille scuse affinché questo non succeda. Ma se si tratta di voi, allora dovrete spaccare il minuto, essere super puntuali. Vi ricorda qualche vostra conoscenza?
  • paga puntuale, ma pretende l'anima in cambio. Il/la cliente di merda ti paga puntuale, a volte anche prima delle scadenze. Tu sei felice, come è giusto che sia, in un mondo equilibrato. Ma il/la cliente di merda pensano di stare a farti un favore e quindi si sentono in diritto di chiederti l'anima in cambio. Ebbene, non farti trarre in inganno. Sappiamo che i soldi ti servono in questo periodo e sono totalmente funzionali alla tua crescita. Ma non farti prendere dal nessun dubbio! Pagare è un dovere, esattamente al pari del lavoro che tu stai svolgendo. Pagarti non è un favore che ti stanno facendo; ricevere un pagamento è un tuo diritto, come un loro diritto è ricevere un servizio. Fino a quando vige questo equilibrio non c'è nulla di cui preoccuparsi. Ma soprattutto non c'è nulla che non va. Continua per la tua strada, con correttezza e coerenza.
  • sottovaluta il valore della tua creatività. Sei una persona creativa, hai scelto di fare un lavoro creativo. Questo non vale meno di un lavoro analitico. Non ci sono parametri esatti per valutare un lavoro creativo, ma ce n'è uno invalicabile: il rispetto per chi lo sta svolgendo.
  • è saccente. Forse questo è il più grande limite del/la cliente di merda. Pensa di conoscere tutto sul tuo lavoro, proprio lui/lei che, in realtà, ne fanno un altro completamente diverso. Questo accade perché la sovrainformazione del web ha causato non pochi problemi. Abbiamo cominciato a conoscere di tutto un po' e questo ci ha fatto credere, erroneamente, di conoscere tutto. E in realtà non si conosce nulla davvero, fino in fondo.

Come rispondere al/la cliente di merda

Dovrete in tutti i modi far si da evitare il/la cliente di merda. Non si tratta di cattiva volontà, ma se vorrete svolgere serenamente il vostro lavoro, dovrete fare in modo da creare attorno a voi un ambiente che sia degno di gioia.

Se, invece, vi troverete nella condizione di dover necessariamente collaborare con gente del genere, usate sempre gentilezza e imponete la vostra professionalità: è l'unica arma che potrete usare davvero a vostro favore.

 


Cos'è il Word Design? Riproducibilità ed etica della scrittura

Che cosa vuol dire, oggi, essere una word designer? Diciamo che il termine design è anche fin troppo abusato. Quindi, prima di addentrarci nella spiegazione, meglio procedere per gradi.

Nella società di massa, in cui viviamo e in cui ci ritroviamo ad agire, a creare relazioni e a lavorare, il design ha assunto un ruolo fondamentale. Perché il design prevede un processo di progettazione a monte che possa rendere tutto ciò che vediamo, ascoltiamo, tocchiamo, leggiamo, riproducibile e confortevole su qualsiasi dispositivo in nostro uso. La nostra società e la nostra cultura non contemplano più da molto tempo, ormai, l'artefatto unico.

Tutto ciò che ci circonda rientra nel design, perché tutto ciò che ci circonda non esiste nella sua unicità, ma nella sua riproducibilità. E questo vale anche per le opere d'arte, per le opere nate dalla creatività umana.

L'era del design, l'era della riproducibilità tecnica

Nel 1936 il filosofo Walter Benjamin scrive L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica, un saggio che tutte le persone che fanno comunicazione dovrebbero leggere prima o poi. Nel saggio Benjamin analizza lo stato dell'arte a lui contemporaneo, evidenziando che l'opera d'arte potrebbe andare incontro ad un pericolo. Il pericolo è individuato nella perdita dell'aura di unicità in favore di un altro tipo di meccanismo: la diffusione massiva dell'opera attraverso la riproduzione su scala industriale della stessa.

Ma, mentre l'opera d'arte perde la sua aura nella riproducibilità come dice Benjamin, perché pensata per essere unica, l'opera di design ha la sua aura proprio nella sua riproducibilità. Infatti, un'opera di design viene pensata per essere riprodotta e progettata per doversi adattare a diversi parametri e diversi dispositivi.

Design, riproducibilità e cultura visuale

Come dice Riccardo Falcinellidesign può essere tradotto con progettazione e qualsiasi opera di design è tale solo se pensata per la progettazione.

Sempre Falcinelli (2014, 6) sostiene:

Non c'è dubbio che il design abbia molti aspetti per così dire artistici, ma sono solo una parte, spesso non principale, di ragionamenti e problemi molto spesso più articolati: documentarsi su un tema preciso, risolvere una questione tecnica, ottenere i diritti di un'immagine, fare un preventivo, rapportarsi con i clienti e così via.

È per questo che la scrittura, come la grafica, diventa un elemento di design nella comunicazione. 

Di qui, si fa subito chiara la differenza che c'è tra un articolo di giornale o un'opera di letteratura e un payoff di un brand o un claim scritto per una campagna pubblicitaria o ancora un copy per i social o i testi di un sito web.

Elementi di Word Design e responsabilità della comunicazione

Chiamiamo Word Design il design delle parole. Se scrivo un copy per un social media, ad esempio, dovrò tener conto del fatto che il mio target dovrà leggerlo in maniera confortevole sia su un dispositivo mobile che sul pc; se scrivo un claim per una campagna devo selezionare i termini giusti in un campo semantico coerente, che possano imprimersi nella memoria del target e quindi essere ricordati nel tempo, se scrivo un testo per un sito web non dovrò fare un mero esercizio artistico di bravura, ma dovrò connettere le volontà del cliente, la vision aziendale o del brand, la sua mission, il pubblico a cui si dovrà rivolgere.

Potrei fare decine di esempi a riguardo. La lezione non cambierebbe di molto: un word designer deve tener conto di tantissimi elementi (che non approfondiremo in questo articolo), ma anche e soprattutto del fatto che il suo testo dovrà essere riprodotto all'infinito su tanti dispositivi diversi.

Scrivere è comunicare e comunicare è una responsabilità. La responsabilità di veicolare messaggi e il potere di divulgare idee, abitudini, modi di fare. Ricordiamolo sempre.

 


La lingua scritta è visual

Dite la verità, non ci abbiamo mai pensato, eppure ogni tanto il dubbio ci sfiora: ma la lingua scritta è uno strumento visual? Cerchiamo di fare chiarezza: la lingua scritta, nelle sue declinazioni di copy o content può essere uno strumento di visual design? Noi crediamo fortemente che la risposta sia si E se avete ancora qualche perplessità a riguardo, in questo breve articolo vi proporremo il nostro punto di vista e poi, traslando il buon Alessandro Manzoni, a voi l'arda sentenza.

La lingua scritta come elemento di visual design

Prima di esporre qualsiasi teoria in merito, vi consigliamo la lettura del testo Critica portatile al visual design di Roberto Falcinelli (amzn.to/3oAhSUr), uno dei massimi esperti italiani di visual design. Il testo di Falcinelli espone in modo avvincente e approfondito la storia e le applicazioni del visual design in ambito mondiale. Egli parte dall'invenzione della stampa da parte di Johann Gutenberg all'incirca nel 1450, passando per la nascita di una vera e propria società di massa, fino ad arrivare ai nostri giorni.

Per evitare imprecisioni, l'analisi che condurremo sarà quanto più analitica. Il nostro obiettivo sarà portarvi a comprendere come la lingua scritta possa essere considerata un elemento del visual design, una parte integrante e necessaria di una strategia anche visiva.

Partiamo dall'assunto che le parole, quindi la lingua verbale scritta, si legge e la si legge con gli occhi. Quindi, come un qualsiasi elemento visual all'interno di una strategia di creazione e comunicazione di un prodotto. Pensiamo, ad esempio ad un packaging, ad una brochure, ad una presentazione aziendale, alle campagne offline o in una strategia di digital marketing. La lingua scritta è ovunque. E per questo deve rendersi degna di un connotato visuale. Viviamo in una società visuale e questo la lingua scritta ne è un elemento fondamentale.

Vedere attraverso la lingua scritta

La prima facoltà che apprendiamo, dopo aver imparato le regole meccaniche e fisiologiche della lettura, è l'immaginazione.  L'immaginazione, come sostiene Bruno Munari, artista e designer italiano, nel suo testo Fantasia (amzn.to/3HIvODk), è la capacità di creare collegamenti tra ciò che sappiamo: per questo più sono vaste l'esperienza e la cultura di una persona, tanto più la sua capacità di immaginazione sarà vivace. Munari ci spiega anche cosa sono la fantasia, ovvero la capacità di creare mondi e visioni che non appartengono al mondo reale, ma che nascono puramente dalla nostra soggettività. Passa poi all' invenzione, che invece è la capacità pragmatica di dare vita a oggetti utili a un obiettivo, senza però curarne anche l'estetica. Conclude con la creatività, ovvero l'abilità di connettere fantasia ed invenzione.

In questi processi, non si può ignorare che la lingua verbale e, nel nostro caso particolare, la lingua verbale scritta sia un elemento da cui non possiamo prescindere anche all'interno di una strategia visiva.

Perché esso è in grado di darci delle visioni e che queste visioni, poi, siano talmente potenti da riuscire a coinvolgere i nostri cinque sensi.

Il filosofo Ferruccio Rossi Landi sostenne, in tutta la sua opera e in tutti i suoi saggi, che la lingua, scritta e parlata potesse essere assimilabile ad un utensile, di cui gli esseri umani si servivano per modificare e adattare la realtà ai propri bisogni.

Alla luce di questo, si comprende bene come la lingua verbale scritta rientri in una strategia visual. Perché noi vediamo, oltre che leggere, la comunicazione, i messaggi verbali inseriti in una strategia, vediamo i claim, i payoff dei brand, vediamo e associamo alle immagini i copy di un sito internet, di una brochure o di un cartellone 6x3. E attraverso la lingua verbale scritta creiamo connessioni tra il nostro mondo, tra ciò he conosciamo e tra ciò che possiamo immaginare.

Usare la lingua scritta come elemento visual

Quindi, come usare la lingua scritta come elemento di una visual strategy? La lingua scritta deve essere esteticamente bella, armoniosa, oppure sensazionale, forte, travolgente, o ancora commovente, insomma capace di darci emozioni. Essa deve poter coinvolgere i nostri cinque sensi. Leggere è una facoltà visiva dell'essere umano. In questo contesto, la sintassi o la scelta di un dato carattere tipografico per esprimere un certo concetto, il modo in cui scelgo di collocare le parole e la loro significanza pragmatica all'interno di un testo, sono elementi visivi. Infatti, a seguito di una lettura il testo deve innescare immaginazione, ovvero capacità di fare collegamenti tra elementi già esistenti con l'obiettivo di crearne di nuovi.

Per questo la mia esperienza di lettura non sarà mai uguale a quella di un'altra persona, anche se le immagini suggeriscono lo stesso soggetto visivo.

La sfida di scrivere per far vedere

Scrivere non è un atto puramente accessorio del lavoro visuale e d'immagine. Scrivere significa creare la proposta visiva di un mondo la cui potenza e bellezza sta sul fatto che sì, si fonda su un inconscio collettivo in cui ogni persona condivide le proprie conoscenze ed esperienze con altre persone. Inoltre ogni persona al contempo personalizza, sentendosi parte attiva e integrante di un tutto.

 

 

NB: questo testo è stato scritto nel rispetto delle differenze di genere.

 


Esiste un brand senza prodotto?

Domandona da milioni di euro: esiste un brand senza il prodotto? Entriamo subito nel vivo con un esempio: ve lo ricordate il brand GURU? Quello che per marchio aveva un fiorellino stilizzato. Bene. Il marchio di GURU fu applicato su delle maglie in cotone qualsiasi e dopo poco tempo diventò virale. Erano i primi anni Duemila.  La sua forza, soprattutto nella diffusione del brand, fu la totale semplicità e minimalismo del marchio che lo rendevano subito riconoscibile. Una margherita, quasi banale, che sembrava disegnata da una bimba o un bimbo e un nome totalmente azzeccato: GURU, che aveva un'estrazione esotica, ma al contempo ben diffusa nel linguaggio comune.

Analizziamo la situazione: il brand non aveva ancora un prodotto ben definito. Infatti, inizialmente, furono usate delle maglie in cotone comuni e non create apposta per il brand.

I punti di forza furono sicuramente il logo e il naming.

Stiamo parlando di inconscio collettivo e linguaggio comune, due elementi molto cari al vecchio e amato Jung. L'inconscio collettivo è la base condivisa su cui si fondano le nostre azioni e il linguaggio comune raccoglie al suo interno riferimenti al mondo, alla società e alla cultura che ci rendono possibile la comunicazione. Esattamente come la margherita e il sostantivo "guru". Non me ne vorrà Jung per la spiegazione semplicistica che ho dato delle sue tesi, ma il nostro obiettivo è un altro: può esistere, quindi, un brand senza prodotto? La risposta è sì, ma vediamo in quali circostanze.

Un brand senza prodotto: identity e vision capaci di creare community

Un brand senza prodotto può esistere, ma abbiamo bisogno che il nostro brand abbia già una identity e una vision molto forti in grado di indirizzarsi subito ad un target e capaci di creare un senso di comunità e di appartenenza. 

Nel caso specifico di GURU e della sua margherita, il gioco era già fatto. Un brand apparentemente senza grosse pretese, eppure capace di arrivare a chiunque nello stesso modo. All'inizio degli anni Duemila, avere una t-shirt GURU era considerato un segno di appartenenza ad una community che raccoglieva in sé persone di diversa estrazione sociale, ma che condividevano la gioia dello stare insieme, quel senso di leggerezza diffuso che caratterizzò l'inizio del millennio, il colore vivo che trasmetteva un senso di brillantezza e clamore. Le star del jet-set lo sceglievano come brand di riferimento per serate ed eventi mondani, abbinando semplici t-shirt ad outfit ricercati. E secondo il classico movimento di bottom-down che caratterizza i prodotti di moda, il brand si diffuse anche in un target medio-basso.

Il gioco era presto fatto: identità e vision di GURU avevano creato una community enorme. E poi arrivò anche la produzione.

Perché piaceva così tanto? Perché era semplice, diretto, allegro.

Quindi possiamo avere un brand senza prodotto?

Certo che sì. L'importante è che, come abbiamo mostrato nel caso di GURU, vi siano già di default un'identità e una vision ben definite e chiare.

Se il vostro brand è capace di creare un sogno, di innescare l'immaginazione delle persone e se sarete capaci a far parlare di voi prima ancora di proporre qualcosa, capaci quindi di vendere un'idea prima, una visione, allora il vostro prodotto, quando verrà fuori, non sarà altro che un completamento di un processo che aveva fatto leva prima sulle menti e sui cuori e poi sulla materialità stessa dell'oggetto in questione.

Lo stesso varrà per la situazione contraria, ovviamente: se non avete le idee chiare e viaggiate ancora su binari fumosi, è inutile mettervi all'opera senza avere un prodotto da proporre. Se non riuscite, infatti, ad essere chiari sul naming, se ancora l'obiettivo del vostro business è oscuro e se volete fare qualcosa, ma non sapete ancora esattamente cosa, mettetevi l'anima in pace e aspettate. Organizzate le idee, focalizzate gli obiettivi, lavorate prima di immaginazione per cercare di proiettare i vostri sogni nel futuro, ma soprattutto siate anche nel reale, perché nessun sogno si costruisce solo a parola. Rintracciate i mezzi, cercate le strategie, fatevi affiancare da chi ha sicuramente maggiore competenza tecnica rispetto a voi.

Vedrete che tutto, piano piano, arriverà. 

 

NB: questo testo è stato scritto con un linguaggio agender addicted e nel rispetto di ogni diversità.


L'errore di comunicare con le "supercazzole"

Il qualunquismo non è mai un valore, eppure la comunicazione del web è piena di quelle che in gergo noi digital copywriter e digital marketer definiamo "supercazzole".

Ma cos'è una "supercazzola"? Entriamo nel vivo. Una "supercazzola", per usare il francese, è un copy o un contenuto redatto senza avere nessun margine di originalità, né nella propria scrittura né tantomeno nella scrittura proposta per il brand che stiamo curando. Ciò significa che:

  1. state scrivendo in maniera totalmente impersonale e dalla vostra scrittura non emerge né passione, né preparazione. In sintesi, sostenete di essere dei copywriter o dei digital copywriter, ma la vostra scrittura è sapida, non trasmette nessun'emozione, non racconta nessuna storia. Usate un lessico generalista e piatto e il vostro copy potrebbe essere adattato a qualsiasi contesto, potrebbe essere piegato a qualsiasi necessità.
  2. state scrivendo senza dare valore al brand, senza far emergere la sua visione valoriale, non state usando il lessico e il campo semantico che meglio si addice a quel brand, non vi state rivolgendo a nessun target, non state puntando a nessun obiettivo e sicuramente non ne raggiungerete nessuno.

Nella comunicazione, la "supercazzola" è un disvalore

Nella comunicazione la "supercazzola" è un disvalore. Se provate noia per la vita, se pensate che tutto sia grigio e che tanto il vostro testo non verrà letto, se fate questo mestiere ma non lo sentite e se avete un atteggiamento scocciato, è meglio che cambiate lavoro. No, lo sto dicendo seriamente e no, non sto scherzando. La comunicazione, come la vita, ha bisogno di passione. E vi salva il fatto che io sia una persona corretta e diplomatica, perché altrimenti qui linkerei un sacco di esempi facendo nomi e cognomi di chi, con la solita sfacciataggine che contraddistingue le persone mediocri, si vende per copywriter e scrive solo "supercazzole".

Come rimediare alla "supercazzola"

La scrittura è un'arte e non è per ogni persona: non basta voler scrivere o imparare a scrivere, cosa che si fa già dalle elementari. Bisogna sentire dentro quella grande passione che accomuna tutte le persone che vogliono fare un lavoro artistico. Sì, perché nello scrivere c'è l'arte dell'ascolto, l'arte del ricordo, l'arte della traduzione. Scrivere è ogni volta ri-scrivere, tradurre un pensiero, un sogno, una visione che nella mente di chi ci parla, di chi ci chiede di redigere i testi per un sito o anche per un "semplice" post sui social network, esiste già. Noi copywriter dobbiamo saper tradurre quel pensiero, quel sogno, quella visione.

E, credetemi, non c'è accademia o laurea che tengano: se non sentite viva dentro di voi la fiamma di quella passione, a nulla varranno i titoli di studio.

Al contempo, però, se avete davvero quella fiamma, non lasciate che si spenga: coltivatela, alimentatela, informatevi, leggete (tanto), studiate, fate ricerca continua, su ogni argomento vi si pari davanti o vi venga proposto. Mettete da parte l'ego, perché non c'è un argomento più o meno degno della vostra attenzione. Siate umili.

Se volete evitare di scrivere testi dozzinali, abbiate cura di ciò di cui parlate, di ciò che tradurrete nella sacralità della parola scritta. 

Tutto il resto, sono solo enormi "supercazzole".

 

NB: questo articolo è stato scritto nel rispetto di una visione a-gender ed eticamente sostenibile.