Un brand è una persona
Un brand è una persona perché sono le persone a fare i brand.
A chiunque è capitato, almeno una volta nella vita, di subire quell'ingrata frustrazione e delusione nell'accorgersi che una persona che abbiamo conosciuto online, offline, ovvero nella vita reale, è diversa da come appariva online. È subito sorta la domanda: "e ora che faccio?" Poi, magari con il tempo, è arrivata la conoscenza e ci siamo resi conto che non era poi così male.
Evitare, però, il gap tra online e offline è fondamentale! E, dal momento che i brand "funzionano" come le persone, perché i brand sono fatti dalle persone, è importante evitare quel fastidioso divario tra online e offline.
Spesso succede che la comunicazione online dei brand, specie di quelli che non conosciamo ancora, ci cattura. Poi, però, l'esperienza offline appare distante da quella comunicazione. L'effetto è che i consumatori abbandonino il brand dopo il primo utilizzo.
Come fare a integrare online e offline?
Ci sono dei piccoli accorgimenti che un brand può utilizzare per integrare la sua percezione online e offline.
- Creiamo connessioni esperenziali: proponiamo esperienze che possano essere un filo rosso tra ciò che il brand mostra online e ciò che è disposto a proporre offline;
- Diamo un'immagine coerente: colori, forme, materiali comunicati online devono corrispondere a quelli che i consumatori troveranno offline. Inoltre il prodotto comunicato online dovrà essere quanto più fedele a se stesso anche offline, quando il consumatore lo utilizzerà davvero. Il prodotto del brand diventerà così insostituibile, regalando ai consumatori un sogno, risolverà davvero un loro problema e sarà insostituibile.
- Un brand è come una persona: i consumatori intrecciano vere e proprie relazioni umane con i brand e coltivare quella relazione, darle la giusta cura, sarà il presupposto per un rapporto durevole nel tempo, contro la corrosività contemporanea.
Persone oltre i prodotti
Come ci ricorda Giuseppe Morici in Fare marketing rimanendo brave persone. Etica e poetica del mestiere più discusso del mondo (Feltrinelli 2019),
(...) un brand crescerà tanto quanto sarà in grado di andare a fondo nel terreno umano, oltre i primi strati superficiali della razionalità e della funzionalità dei prodotti. (p. 51)
È una lezione sempre valida, soprattutto oggi, perché è sempre maggiore la voglia dei consumatori di sentirsi umani. Non dimentichiamolo!
Cosa fare con gli hashtag
Gli hashtag, questi sconosciuti. Ebbene sì, perché a differenza di ciò che si pensa, nel magico mondo dei social media manager si fa sempre una grande confusione sull'uso degli hashtag.
Partiamo dal principio: che cosa è un hashtag? L'hashtag è un tag che ha la funzione di aggregatore tematico. Ciò significa che gli hashtag hanno la funzione di contenitori tematici per i milioni di post che ogni giorno vengono pubblicati sui social media. Gli Hashtag furono introdotti in quello che ormai appare come un lontanissimo 2007. Essi servivano a dividere i contenuti in base agli argomenti trattati, rendendone anche più facile il reperimento e a distinguere i cosiddetti trend topic.
I trend topic sono argomenti caldi su cui si discute in un particolare momento e che riescono a fornire un feedback valido sulle tendenze del web in tempo reale.
Hashtag e Instagram
Nati su Twitter, gli hashtag hanno avuto però il loro grande successo dal 2015 grazie ad Instagram. Questo è avvenuto perché si è compreso subito il valore degli hashtag non solo nell'accorpare contenuti simili e che quindi mettevano facilmente in contatto persone con gli stessi interessi, ma anche nell'aumento del numero dei follower.
Usati nella maniera giusta, infatti, gli hashtag hanno il potere di aumentare i follower di una pagina perché giocano sul senso di appartenenza da parte di persone che condividono gli stessi interessi e le stesse problematiche.
Certo, da un paio di anni ad oggi, la tendenza ad usare molti hashtag è diminuita esponenzialmente. Ciò è avvenuto perché l'uso di hashtag troppo generici e diffusi causa una naturale dispersione dei contenuti di piccoli account, che si vedono superati da quelli molto più grandi in numero di follower.
Inoltre, dopo che Facebook (da poco META) ha acquisito Instagram, il potenziale di crescita in organico data dall'uso degli hashtag, è diminuito. Infatti un contenuto cresce solo in adv e farlo crescere in organico sfruttando uno spazio che è bene ricordare, non è nostro, è diventato molto più difficile. Quindi non montatevi troppo la testa: crescerete se imparerete a fare online adv o se vi affiderete ad una persona esperta per farlo.
Diversamente il vostro engagement rate sarà così basso che vi servirà solo per autocelebrarvi, e quindi non vi servirà a nulla.
Perché l'hashtag su Facebook non funziona
Da social media manager e copywriter devo ammettere che vedere hashtag su Facebook è davvero molto fastidioso.
Dal 2016 gli hashtag si sono diffusi anche su faccialibro, ma con scarsissimi risultati. Questo perché a Facebook non serve un aggregante di contenuti: il social di tutti i social non è nato per quello, ma piuttosto per dare contenuti estemporanei e pareri ancora più estemporanei. In più Facebook nasce per raccontare fatti e visioni personali e per condividerli con le persone che abbiamo scelto, non per diffondere contenuti. È per questo che l'hashtag su Facebook non ha appeal, anzi potrebbe sortire l'effetto contrario, disperdendo il nostro contenuto.
In quale ordine inserire gli hashtag
Fermo restando che utilizzeremo gli hashtag solo per i nostri post di Instagram, quindi, cerchiamo di capire anche in quale ordine inserirli in base alla loro tipologia:
- brand hashtag: gli hashtag relativi al brand che stiamo curando, con il loro nome o claim;
- hashtag di settore: si intendono quelli relativi al settore merceologico di riferimento del brand per cui stiamo lavorando; ù
- hashtag generici e trend topic: che siano comunque coerenti con il contenuto che stiamo pubblicando e con la nostra linea editoriale.
Inseriscine massimo dieci, ponderando il numero in base alle tipologie sopra elencate, se non vuoi dare la percezione di essere poco "cool".
Dopo questo, mi raccomando! E buon #hashtag.
NB: questo articolo è stato scritto nel rispetto di una lingua inclusiva e con un approccio gender correct.