Cos'è il Word Design? Riproducibilità ed etica della scrittura

Che cosa vuol dire, oggi, essere una word designer? Diciamo che il termine design è anche fin troppo abusato. Quindi, prima di addentrarci nella spiegazione, meglio procedere per gradi.

Nella società di massa, in cui viviamo e in cui ci ritroviamo ad agire, a creare relazioni e a lavorare, il design ha assunto un ruolo fondamentale. Perché il design prevede un processo di progettazione a monte che possa rendere tutto ciò che vediamo, ascoltiamo, tocchiamo, leggiamo, riproducibile e confortevole su qualsiasi dispositivo in nostro uso. La nostra società e la nostra cultura non contemplano più da molto tempo, ormai, l'artefatto unico.

Tutto ciò che ci circonda rientra nel design, perché tutto ciò che ci circonda non esiste nella sua unicità, ma nella sua riproducibilità. E questo vale anche per le opere d'arte, per le opere nate dalla creatività umana.

L'era del design, l'era della riproducibilità tecnica

Nel 1936 il filosofo Walter Benjamin scrive L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica, un saggio che tutte le persone che fanno comunicazione dovrebbero leggere prima o poi. Nel saggio Benjamin analizza lo stato dell'arte a lui contemporaneo, evidenziando che l'opera d'arte potrebbe andare incontro ad un pericolo. Il pericolo è individuato nella perdita dell'aura di unicità in favore di un altro tipo di meccanismo: la diffusione massiva dell'opera attraverso la riproduzione su scala industriale della stessa.

Ma, mentre l'opera d'arte perde la sua aura nella riproducibilità come dice Benjamin, perché pensata per essere unica, l'opera di design ha la sua aura proprio nella sua riproducibilità. Infatti, un'opera di design viene pensata per essere riprodotta e progettata per doversi adattare a diversi parametri e diversi dispositivi.

Design, riproducibilità e cultura visuale

Come dice Riccardo Falcinellidesign può essere tradotto con progettazione e qualsiasi opera di design è tale solo se pensata per la progettazione.

Sempre Falcinelli (2014, 6) sostiene:

Non c'è dubbio che il design abbia molti aspetti per così dire artistici, ma sono solo una parte, spesso non principale, di ragionamenti e problemi molto spesso più articolati: documentarsi su un tema preciso, risolvere una questione tecnica, ottenere i diritti di un'immagine, fare un preventivo, rapportarsi con i clienti e così via.

È per questo che la scrittura, come la grafica, diventa un elemento di design nella comunicazione. 

Di qui, si fa subito chiara la differenza che c'è tra un articolo di giornale o un'opera di letteratura e un payoff di un brand o un claim scritto per una campagna pubblicitaria o ancora un copy per i social o i testi di un sito web.

Elementi di Word Design e responsabilità della comunicazione

Chiamiamo Word Design il design delle parole. Se scrivo un copy per un social media, ad esempio, dovrò tener conto del fatto che il mio target dovrà leggerlo in maniera confortevole sia su un dispositivo mobile che sul pc; se scrivo un claim per una campagna devo selezionare i termini giusti in un campo semantico coerente, che possano imprimersi nella memoria del target e quindi essere ricordati nel tempo, se scrivo un testo per un sito web non dovrò fare un mero esercizio artistico di bravura, ma dovrò connettere le volontà del cliente, la vision aziendale o del brand, la sua mission, il pubblico a cui si dovrà rivolgere.

Potrei fare decine di esempi a riguardo. La lezione non cambierebbe di molto: un word designer deve tener conto di tantissimi elementi (che non approfondiremo in questo articolo), ma anche e soprattutto del fatto che il suo testo dovrà essere riprodotto all'infinito su tanti dispositivi diversi.

Scrivere è comunicare e comunicare è una responsabilità. La responsabilità di veicolare messaggi e il potere di divulgare idee, abitudini, modi di fare. Ricordiamolo sempre.

 


Cosa fare con gli hashtag

Gli hashtag, questi sconosciuti. Ebbene sì, perché a differenza di ciò che si pensa, nel magico mondo dei social media manager si fa sempre una grande confusione sull'uso degli hashtag.

Partiamo dal principio: che cosa è un hashtag? L'hashtag è un tag che ha la funzione di aggregatore tematico. Ciò significa che gli hashtag hanno la funzione di contenitori tematici per i milioni di post che ogni giorno vengono pubblicati sui social media. Gli Hashtag furono introdotti in quello che ormai appare come un lontanissimo 2007. Essi servivano a dividere i contenuti in base agli argomenti trattati, rendendone anche più facile il reperimento e a distinguere i cosiddetti trend topic.

I trend topic sono argomenti caldi su cui si discute in un particolare momento e che riescono a fornire un feedback valido sulle tendenze del web in tempo reale.

Hashtag e Instagram

Nati su Twitter, gli hashtag hanno avuto però il loro grande successo dal 2015 grazie ad Instagram. Questo è avvenuto perché si è compreso subito il valore degli hashtag non solo nell'accorpare contenuti simili e che quindi mettevano facilmente in contatto persone con gli stessi interessi, ma anche nell'aumento del numero dei follower.

Usati nella maniera giusta, infatti, gli hashtag hanno il potere di aumentare i follower di una pagina perché giocano sul senso di appartenenza da parte di persone che condividono gli stessi interessi e le stesse problematiche.

Certo, da un paio di anni ad oggi, la tendenza ad usare molti hashtag è diminuita esponenzialmente. Ciò è avvenuto perché l'uso di hashtag troppo generici e diffusi causa una naturale dispersione dei contenuti di piccoli account, che si vedono superati da quelli molto più grandi in numero di follower.

Inoltre, dopo che Facebook (da poco META) ha acquisito Instagram, il potenziale di crescita in organico data dall'uso degli hashtag, è diminuito. Infatti un contenuto cresce solo in adv e farlo crescere in organico sfruttando uno spazio che è bene ricordare, non è nostro, è diventato molto più difficile. Quindi non montatevi troppo la testa: crescerete se imparerete a fare online adv o se vi affiderete ad una persona esperta per farlo.

Diversamente il vostro engagement rate sarà così basso che vi servirà solo per autocelebrarvi, e quindi non vi servirà a nulla.

Perché l'hashtag su Facebook non funziona

Da social media manager e copywriter devo ammettere che vedere hashtag su Facebook è davvero molto fastidioso.

Dal 2016 gli hashtag si sono diffusi anche su faccialibro, ma con scarsissimi risultati. Questo perché a Facebook non serve un aggregante di contenuti: il social di tutti i social non è nato per quello, ma piuttosto per dare contenuti estemporanei e pareri ancora più estemporanei. In più Facebook nasce per raccontare fatti e visioni personali e per condividerli con le persone che abbiamo scelto, non per diffondere contenuti. È per questo che l'hashtag su Facebook non ha appeal, anzi potrebbe sortire l'effetto contrario, disperdendo il nostro contenuto.

In quale ordine inserire gli hashtag

Fermo restando che utilizzeremo gli hashtag solo per i nostri post di Instagram, quindi, cerchiamo di capire anche in quale ordine inserirli in base alla loro tipologia:

  • brand hashtag: gli hashtag relativi al brand che stiamo curando, con il loro nome o claim;
  • hashtag di settore: si intendono quelli relativi al settore merceologico di riferimento del brand per cui stiamo lavorando; ù
  • hashtag generici e trend topic: che siano comunque coerenti con il contenuto che stiamo pubblicando e con la nostra linea editoriale.

Inseriscine massimo dieci, ponderando il numero in base alle tipologie sopra elencate, se non vuoi dare la percezione di essere poco "cool".

 

Dopo questo, mi raccomando! E buon #hashtag.

 

NB: questo articolo è stato scritto nel rispetto di una lingua inclusiva e con un approccio gender correct.

 


Regole di sopravvivenza per freelance

Tanto un post devi pubblicare. Se hai avuto la brillante idea, nella tua vita, di essere social media manager, chissà quante volte avrai sentito questa frase.

In questo articolo ti spiegheremo come sopravvivere al senso di frustrazione e turbamento che segue l'ascolto di una frase così, enunciata spesso dalle persone con cui, come freelancer, collaboriamo.

Si, perché se hai la fortuna di lavorare nel contesto di un'agenzia e se hai la fortuna di lavorare con persone corrette che poco a poco, giorno dopo giorno, diventano la tua famiglia, hai meno possibilità di correre questo rischio. Perché se un'azienda si comporta in maniera scorretta nei confronti di persone che, come te, lavorano nell'ambito del marketing e della comunicazione, e in agenzia vige un buon clima, si farà di tutto per fare fronte comune e cercare un dialogo alternativo con l'azienda.

Ma se sei freelance, combatti in totale solitudine nei confronti delle aziende con cui collabori e devi sapere quali regole applicare per destreggiarti e sopravvivere in questo marasma.

Sopravvivenza e vita da freelance

I freelance non hanno vita facile. E questa non è una frase campata in aria, è una certezza. Qualcuno diceva che l'unione fa la forza e mi sa che aveva ragione. Quando si è in gruppo ogni difficoltà viene superata con il supporto e l'attenzione di tutte le persone che lavorano insieme, che condividono battaglie, che hanno un obiettivo in comune. Quando, invece, ci ritroviamo in totale solitudine a fronteggiare momenti di sconforto, la possibilità di avere una rivincita si fa molto più dura.

Per questo ti dedichiamo questo articolo, perché nessun essere umano è una monade solitaria, anche se freelance.

Vediamo quindi come fronteggiare e reagire alle più diffuse occasioni di critica che ci possono provenire dall'esterno. Fermo restando che questi consigli non devono aumentare la nostra arroganza: infatti ammettere i propri errori e fare di tutto per superarli è prova di grande intelligenza. La frustrazione e l'umiliazione derivano piuttosto da frasi dette senza coscienza di causa, senza provare a capire che il nostro mestiere è complesso, richiede tempo e che non è nostra tutta la responsabilità di alcune scelte aziendali visibilmente fallimentari.

Regole di sopravvivenza per freelance

Vi mostriamo qui 5 occasioni di disagio che sicuramente vi saranno capitate e 5 modi per affrontarle con eleganza, grazia e positività:

  1. Tanto un post devi pubblicare: no. Questa è una frase molto frequente. Per scrivere un post, soprattutto per scrivere un post che abbia un senso in una strategia di digital marketing serve una grande concentrazione e tanto metodo e studio, oltre che tanta tanta pratica.
  2. Una grafica la posso fare anche io. Non è assolutamente vero. Anche qui serve preparazione, specie se non vogliamo incorrere in grafiche off topic o in stile anni Ottanta.
  3. Ho provato a chiamarti ieri sera, perché non hai risposto? Datevi degli orari. Sconnettersi dai dispositivi, dalle mail, dalle chiamate alle 9 di sera è un diritto. Altrimenti diventerete il vostro lavoro, perdendo di vista le altre cose belle e ugualmente importanti della vita.
  4. Non posso pagarti, è un momento difficile. Forse questa è una delle frasi più agghiaccianti. Se si entra in un negozio per comprare un paio di scarpe si presuppone che si abbiano i soldi per comprarle. Quindi se un'azienda vi richiede dei servizi mettete subito in chiaro che ogni servizio ha un suo costo e che ogni servizio va regolarmente pagato.
  5. La tua attività non ha apportato nessun beneficio all'azienda. Per questo è importante creare dei report e spiegare che per ogni risultato serve del tempo consono. Mostrate i report con i dati e se sono davvero insoddisfacenti, può capitare. Il marketing e la comunicazione vivono di approssimazioni successive. C'è sempre la possibilità di regolare il tiro, perché non tutti gli aspetti di una strategia sono precisamente definibili in partenza. Cercate un dialogo su queste basi e assicuratevi di avere sempre una risposta propositiva e proattiva.

Infine imparate dagli errori. Nessun essere umano nasce già con l'esperienza per la vita. Perseguite l'umiltà senza mai perdere la vostra dignità. Studiate per avere basi forti e sappiate che si può sempre migliorare e imparare.

Per concludere ricordate la frase di Bill Gates e quando siete particolarmente giù di tono, ripetetevela come un mantra:

Se riesco a fare un lavoro in 30 minuti è perché ho speso 10 anni per imparare come farlo in quel tempo. Tu devi pagarmi per quei 10 anni, non per i 30 minuti. 

E in bocca al lupo!

 

NB: questo articolo è stato scritto nel rispetto di un linguaggio gender correct.


L'uso del genere femminile cambia la percezione delle donne

Spesso ci chiediamo se tutta questa attenzione sull'uso di una lingua verbale, scritta e parlata, inclusiva sia davvero giustificata. Insomma, è proprio necessario prestare attenzione a usare forme inclusive che possano far sentire tutte le persone a cui vogliamo rivolgerci davvero prese in considerazione? Oppure è solo una moda o un capriccio del momento? Ci chiediamo se quando parliamo dobbiamo davvero fare attenzione a dire sindaca piuttosto che sindaco se ci stiamo rivolgendo ad una donna. Così come ci chiediamo se l'uso del genere femminile nella lingua parlata e scritta possa davvero apportare un cambiamento alla percezione che si ha della donna e di tutte le persone che non si identificano in un genere eteronomativo.

Ebbene la risposta è sì. Perché il nostro modo di percepire il mondo è anche plasmato sulla lingua che usiamo per descriverlo. Se dunque, nella nostra lingua non c'è spazio per le donne nelle professioni che storicamente sono degli uomini o non c'è spazio per includere tutte le persone che fanno parte della nostra realtà, allora non ci sarà mai spazio per loro nell'avere un riconoscimento reale nel mondo.

Vediamo insieme perché.

Il genere femminile non è cacofonico

Molte volte, coloro che preferiscono non usare il genere femminile, per esempio nelle professioni, si nascondono dietro la scusa che il femminile sia cacofonico. Se fosse davvero così, parleremmo ancora il latino. Per fortuna la lingua si evolve e non c'è modo di fermarla. Una volta che l'inconscio collettivo accetta per buono un determinato termine, secondo la regola consuetudo norma legis, quel termine inizia ad entrare di diritto nella lingua sia scritta che parlata.

Indi per cui, sindaca, ingegnera, architetta, notaia, avvocata, ministra, non sono termini cacofonici, ma sono solo dei termini nuovi a cui abbiamo solo bisogno di abituarci. Il fatto che non siano stati mai usati nella lingua scritta e parlata fino a qualche anno fa, dipende dall'impossibilità per le donne di accedere a delle cariche pubbliche o a delle professioni che sono sempre state appannaggio degli uomini.

Ma ora le donne rivendicano il proprio diritto a vedersi riconosciuti quei posti che sono stati loro preclusi per anni, per centinaia di anni. E questo riconoscimento, inizia in modo solo apparentemente banale, dalla lingua nel suo uso quotidiano sia scritto che parlato.

L'uso del genere femminile verso l'inclusione

Il compito di noi che lavoriamo nel mondo della scrittura creativa e strategica è intercettare questi cambiamenti e tradurli in strategie e piani di comunicazione. L'uso del genere femminile sottintende l'uso di forme nel linguaggio più inclusive; per questo, per rivolgersi a tutto il nostro target, senza che nessun elemento si senta escluso o messo da parte, cerchiamo di usare maggiormente le perifrasi e non i generi netti, a meno che non ci stiamo rivolgendo sicuramente a un genere preso in considerazione, inventiamo modi linguistici per creare un mondo più inclusivo e rispettoso di tutte le persone che lo vivono, abbattiamo gli stereotipi, come quello dell'uso del sostantivo "uomo" per riferirsi a tutta l'umanità.

Un nuovo mondo è possibile. Cominciamo a costruirlo dalle parole che utilizziamo per raccontarlo.

A tal proposito vi consigliamo vivamente la lettura del testo https://www.effequ.it/saggi-pop/femminili-singolari/

Un testo meraviglioso che vi aiuterà ad approfondire l'argomento.

N.B.: LateralTelling usa forme di lingua inclusiva, nella sua vision di Scrittura Creativa Strategica Digitale


Come nasce un brand? Da ciò che sai fare meglio

La domanda è scottante: qual è la cosa che sai fare meglio? Così su due piedi, la maggior parte di noi avrebbe serie difficoltà a rispondere. Ed è proprio per questo che vogliamo spiegarti perché è importante chiedertelo e perché quella risposta, che sembra così banale, in realtà è fondamentale.

Ciò che sai fare meglio è alla base del tuo brand (o del tuo personal branding)

Quando a Steve Jobs rimproveravano il fatto di "non saper fare nulla", perché in effetti il caro vecchio Steve non era un ingegnere, non era un informatico, non era uno sviluppatore o un designer, lui rispondeva prontamente di avere l'innata e rara, aggiungiamo noi, capacità, di saper unire i puntini. Insomma, Steve aveva capito cosa riusciva a fare meglio: era capace di avere la visione totale. Lui guardava il prodotto finito, aveva in mente il sogno per intero, non le sue singole parti, vedeva già cosa ci fosse oltre ogni singolo step che avrebbe definito la creazione di un qualsiasi progetto.

E tu, sai qual è la cosa che sai fare meglio? Ti ricordi quando a sei anni ti chiedevano: e tu cosa vuoi fare da grande? A volte ci affidavamo ai nostri sogni, altre volte pensavamo alla cosa che sapevamo fare meglio e di lì derivava la risposta. Quando inizi il tuo percorso di costruzione di un brand o del tuo personal branding la domanda che devi porti è sempre quella che ti ponevi a sei anni: cosa so fare meglio? Qual è la cosa che più mi appassiona in assoluto? Dove posso dare i risultati migliori? Cosa mi piacerebbe imparare di nuovo?

Ciò che sai fare meglio diventa il cuore del tuo brand, del tuo business o del tuo personal branding. 

La costruzione del tuo brand passa dalla tua più grande passione

Diciamocelo francamente: il mondo è pieno di gente che lavora ad obiettivi che non sono suoi, ma ci lavora perché sono obiettivi convenienti. Ma se invece di perseguire obiettivi che non senti tuoi, solo perché secondo le statistiche, ti portano dei guadagni maggiori, ti focalizzassi su ciò che desideri tu davvero e lo facessi diventare il tuo core business?

Banalmente, ti piace il mondo del marketing e della comunicazione? Ti appassiona più di ogni altra cosa? La consulenza di marketing strategico è il tuo cavallo di battaglia? Benissimo, significa che il tuo brand, il tuo business, ma anche il tuo personal branding dovranno essere incentrati su quello. Facciamo un altro esempio, questa volta con la fotografia. Fotografare è ciò che ti rende fiero di esistere? Ebbene che aspetti? Molla il tuo posto in banca e corri subito a creare il tuo business. Segui il tuo istinto naturale, crea il tuo business partendo da te. Il mondo del lavoro, oggi, ha bisogno di persone felici che possano lavorare in maniera produttiva e per farlo ognuno ha bisogno, in realtà di esprimere ciò che di più bello ha dentro e che gli conferisce il suo personalissimo margine di originalità.

Equilibrio tra competenze e costruzione di un brand

Attenzione però! Non dimenticare un aspetto fondamentale nella costruzione del tuo brand, del tuo business e del tuo personal branding. Avere una propensione naturale a fare qualcosa, saperla quindi fare bene in maniera del tutto spontanea, non basta per poter avviare il vostro percorso nel marketing e nella comunicazione.

Se io so cucinare, non è automatico che io sia una cheffa. Infatti, la formazione continua è quella che caratterizza la qualità della tua proposta sul mercato. 

Il tuo talento naturale va individuato come base, come trampolino di lancio, ma poi arriva il bello. Quanto del nostro tempo, della nostra energia e delle nostre risorse siamo in grado di "perdere" in favore di un sogno, di un progetto e del perseguimento dello stesso? Possiamo davvero affidare la nostra vita solo ad una passione? La risposta è no. La passione è il cuore di un brand e la si percepisce quando è reale. Pensiamo a Apple, Ferrari, Missoni: sono brand nati da una passione e non dalla moda del momento.

A questa passione, però, è seguita una formazione ed un lavoro costante che hanno consentito a quei brand e ai loro protagonisti di diventare dei veri e propri punti di riferimento nei settori di competenza.

E tu? Puoi perdere qualcosa per il tuo brand?

Se avrai finito di leggere questo articolo ti saranno rimaste fisse in mente due domande: qual è la cosa che sai fare meglio? a cosa vorrai rinunciare per la creazione del tuo sogno?

E se avrai risposto a queste domande, anche con risposte ancora un po' fumose, non preoccuparti. Vorrà dire che sarà arrivato il momento di contattarci per iniziare a sognare insieme.