A branded copy: da dove partire per scrivere per un brand

Spesso, nel nostro lavoro di copywriter, ci chiediamo come fare a trovare le parole giuste per un brand. La domanda sorge spontanea nel momento in cui ci ritroviamo a far combaciare tecniche di vendita, ottimizzazione SEO e l'innata passione per la scrittura che dovrebbe caratterizzare l'atteggiamento di ogni copywriter.

Sono proprio questi i motivi che ci portano ad affrontare la questione: come faccio a scrivere un copy brand oriented? Lo vedremo insieme nel corso di questo articolo.

 

Come funziona un copy brand oriented

Qual è e come è un copy che funziona in una strategia di Digital Marketing brand oriented? È una domanda che non trova una risposta così scontata. Perché, soprattutto se ci troviamo nelle condizioni di dover scrivere post per un piano editoriale coinvolto in una strategia di Digital Marketing, dobbiamo tener conto di alcuni imprescindibili elementi.

Infatti, se il nostro copy viene letto sui social media, deve essere adatto a quella lettura. E sappiamo quanto sia estemporanea la lettura di post social. Spesso ci ritroviamo di fronte concetti sempre uguali, oppure molto confusi, oppure ripetitivi. In queste condizioni, lasciare il copy e passare ad un altro post e l'atteggiamento più spontaneo che adottiamo. Il sogno di ogni copywriter è che chi legge resti il più tempo possibile sul copy. Quindi, che fare?

Dalle keyword a un copy brand oriented

Affinché chi legge un copy sui social media arrivi alla fine del nostro copy, quel copy deve rispettare la brand identity del brand per cui stiamo scrivendo. È questa la questione più calda da affrontare. Perché un copy, esattamente al pari della grafica, deve rappresentare, deve riflettere ciò che quel brand vuole comunicare. Per questo uno dei motivi più frequenti di abbandono della lettura sta proprio nella difficoltà di chi legge, di connettere scrittura, immagine e brand.

E allora, oltre agli elementi imprescindibili di un digital copy, per cui vi rimandiamo alla lettura di un altro nostro articolo (https://www.lateraltelling.it/2021/11/08/im-a-copywriter-what-is-your-superpower/), bisogna considerare che le parole usate in un copy devono essere coerenti con il brand che raccontiamo.

Il primo passo è isolare le keyword del brand per cui scriviamo.

Produciamo un file in cui andiamo a collocare, attraverso una ricerca, tutte le parole chiave del brand per cui lavoriamo. E dove possiamo trovare le keyword adatte? Facile! Innanzitutto osserviamo il nostro brand, studiamolo, cerchiamo di coglierne tutte le sfumature, parliamo con le persone che lo hanno creato o che già ci lavorano.

Dopo di che, avvaliamoci di tool molto utili al nostro obiettivo: tra questi vi indichiamo alcuni che a noi piacciono molto, come AnswerThePublic (https://answerthepublic.com/), Seozoom (https://www.seozoom.it/) e SEMRUSH (https://it.semrush.com/analytics/keywordmagic/start).

Ovviamente ce ne sono molti altri e una facile ricerca su Google potrà svelarvelo. Questi, però, restano i nostri preferiti. Per i tool che vi abbiamo appena linkato esistono dei piani a pagamento non proprio economici, ma c'è anche la possibilità di accedere a prove gratuite o a ricerche limitate se vogliamo testare qual è quello che "ci veste meglio".

Il potere delle keyword in un copy

Il potere delle keyword è forte. Perché? Ve lo ricordate il famoso campo semantico che ci facevano scrivere in seconda o terza elementare per comprendere un testo? Ebbene, lo studio delle keyword non si distanzia molto da quel concetto. Un copy scritto nel rispetto delle keyword dell'azienda, ma anche e soprattutto delle ricerche che le persone effettuano sul web in base a quell'argomento, sarà un copy vincente:

  • perché saprà rispondere ai quesiti richiesti
  • perché interpreterà il brand
  • perché creerà un rapporto tra chi legge e l'azienda
  • perché sarà esaustivo e non sarà mai off-topic

Ovviamente, la forza di chi svolge il mestiere di copywriter sta proprio nel saper usare quelle stesse parole in modo sempre creativo, innovativo, avvincente, divertente, talvolta ironico, sempre leggero.

Fermi questi presupposti, iniziamo la nostra ricerca. Sarà divertente e ci porterà a risultati sperati.

 

 

 

 


Perché Facebook aiuta un/a social media manager

Facebook è l'origine di tutto: insomma, se non esistesse il social dei social, il nostro lavoro come social media manager non sarebbe neanche un lontano e utopico presagio.

Facebook che ha creato i suoi tool per la programmazione dei post, ovvero Creator Studio e Business Suite. Questi tool sono utili soprattutto a chi gestisce profili social Facebook e Instagram. Il loro primo valore aggiunto? L'essere completamente gratuiti, a differenza di altri e pur validi tool come Hootsuite, Later, Buffer o Sprout Social. I tool appena nominati, infatti, prevedono tutti piani a pagamento. Certo, è possibile anche registrarsi in maniera completamente gratuita, ma per accedere a servizi più utili e specialisti, i piani prevedono tutti una registrazione a pagamento.

Per questo, personalmente, mi sento di consigliare subito di partire proprio da Facebook e iniziare ad esplorare questo mondo.

Creator Studio e Business Suite: programmazione e dati utili

Creator Studio e Business Suite sono i due tool totalmente gratuiti di Facebook a cui qualunque social media manager non può rinunciare.

Essi forniscono la possibilità di programmare i post, di visionare la loro calendarizzazione, ma soprattutto ci forniscono dati utili per comprendere le performance delle nostre pagine social.

Ad esempio, nella versione più aggiornata di Creator Studio, sulla sinistra, tu social media manager neofita o esperto, troverai quella meravigliosa voce detta Insight, che ti sintetizzerà i due dati più importanti per capire l'andamento del tuo profilo: persone raggiuntenumero di interazioni. Questi dati sono rilevanti perché ci consentono di calcolare l'engagement rate, ovvero, il tasso di coinvolgimento degli utenti sulla nostra pagina.

Inoltre, Creator Studio, ci dà la possibilità di definire il periodo temporale per il calcolo dei dati: in questo modo potremo valutare l'andamento del nostro lavoro nel tempo. Se incrociamo questi dati con i contenuti pubblicati, potremo sistemare il nostro lavoro e ridefinirlo in base alle necessità dei nostri clienti, ai trend del mercato e agli obiettivi che ci siamo dati.

Inoltre in Creator Studio sarà possibile operare all'esportazione dei dati. Possiamo, quindi, personalizzare i dati secondo le nostre preferenze con il file automaticamente generato nella voce Esporta dati, in alto a destra.

Anche su Business Suite potremo controllare la voce Insight, ma solo per quanto riguarda i dati che corrispondono alla copertura. La copertura indica quante persone sono state raggiunte in organico o a pagamento attraverso le campagne pubblicitarie.

Business Suite ti sarà più utile per rispondere direttamente ai messaggi che arrivano sui profili Facebook e Instagram e per procedere alla pianificazione di campagne pubblicitarie, aspetti che Creator Studio non contempla.

Facebook for Business: guida per social media manager

Il più grande limite per chi vuole essere un social media manager è intuire quale sia il percorso di formazione migliore. Ad oggi, infatti, non esiste un percorso di formazione univoco per diventare social media manager e questo, spesso, porta molta confusione.

Ma Facebook ha pensato anche a questo: Facebook for Business (https://www.facebook.com/business) è il meraviglioso vademecum per social media manager. È una sorta di libro delle risposte, dove potrai chiarire tutti i dubbi che riguardano il tuo lavoro e farlo nel modo più chiaro e semplice possibile. Inoltre Facebook for Business rappresenta una fonte univoca di informazioni legate al social network, che ti guida sia nei dubbi amletici sui contenuti, che sulla natura e la performatività delle campagne pubblicitarie. Insomma, una volta scoperto non potrai più farne a meno!


La grammatica non è un'opinione, neanche sui social

Spesso social media manager, content writer, blogger, non possiedono una formazione adeguata al mestiere che hanno scelto, alle professionalità a cui hanno deciso di votare la propria vita professionale. E la differenza, ve lo possiamo garantire, non lo fa un titolo di laurea o le decine di titoli o di corsi di formazione che si possono fare, ma la propensione naturale ad approfondire, a fare ricerca, a fare la differenza con la propria personalità. Ciò nonostante ci sono delle regole che non possono essere ignorate, a prescindere dalla formazione o dalla propria personalità; tra queste regole della lingua, sicuramente c'è la grammatica.

La grammatica non è un'opinione, anche se fastidiosa

Una delle materie scolastiche più detestate e odiate, oltre la temuta matematica, è la grammatica. Ma per quanto sia detestabile, la grammatica resta la base imprescindibile per scrivere bene e per comunicare anche bene. Un testo, un copy, un articolo ben scritto e che possa arrivare all'obiettivo che ci siamo prefissati, non può prescindere dal rispetto di semplici regole che rendono la nostra lingua italiana un patrimonio prezioso.

Alcune persone considerano la grammatica un insieme di regole inutili, perché tanto possiamo essere comprensibili lo stesso. Niente di più falso. Immaginate per un momento quando sentite parlare una persona straniera: sbaglierà sicuramente qualche costrutto o qualche regola di formazione del plurale o di uso delle voci verbali. La prima reazione è il riso e, per le personalità più intransigenti, anche lo scherno.

Ma tra tutte le persone che parlano e scrivono l'italiano come lingua madre, quante possono dire di conoscerlo davvero? 

Gli errori grammaticali più comuni nella scrittura digitale

Vediamo insieme, quindi, quali sono gli errori più comuni nella scrittura digitale di copy, blog e articoli.

La consecutio temporum: i tempi verbali (oltre che l'uso corretto dei loro modi) rappresentano una delle spine più difficili. Ci sono tre tipi di legami che collegano le nostre azioni: contemporaneità, posteriorità anteriorità. A questi legami corrispondono gli usi di presente, futuro e passato. Quindi, tra proposizione principale e proposizione subordinata, in base al legame, dovrai scegliere il tempo più adeguato, in base ovviamente al modo.

La punteggiatura non è casuale:

  • i tre puntini di sospensione, tanto ingiustamente abusati, vanno posti solo se una frase (di solito in un dialogo) indica un concetto sospeso;
  • la virgola solo dopo il ma, in un elenco di elementi o per incidere una frase (che sarà comunque subordinata);
  • il punto e virgola, meravigliosa creatura mitologica, si usa quando il concetto della frase non si è concluso, ma si dispiega successivamente e in maniera leggermente diversa rispetto alla frase principale;
  • i punti esclamativi indicano un urlo e sappiamo quanto urlare non sia mai consigliato in un contesto di comunicazione.

Il verbo essere vuole l'accento grave, non l'apostrofo, perché l'apostrofo non sostituisce l'accento. Imparate a farlo da scorciatoia di tastiera, quando dovete scriverlo maiuscolo. Basta cliccare alt212 e il gioco è fatto.

L'articolo indeterminativo un vuole l'apostrofo se davanti ad un nome femminile.

L'avverbio piuttosto non sostituisce la congiunzione eccettuativa "o", ma serve a rimarcare una preferenza.

L'uso della lettera maiuscola solo per i nomi propri e non per intere frasi, che vi faranno sembrare delle scimmie urlatrici.

Ogni tanto andate a capo: paragrafare è fondamentale nella scrittura digitale, perché aiuta chi ci legge a memorizzare e fissare tutti i concetti che vogliamo comunicare e anche la loro priorità nell'equilibrio totale di tutto il contenuto.

Gli hashtag non sono parole; essi hanno una funzione ben specifica nelle dinamiche della scrittura strategica digitale. Non ne abusate, ma soprattutto non sostituite le parole con gli hashtag dove non servono, perché renderanno la lettura più macchinosa.

La grammatica migliora la comunicazione

Un testo scritto bene è un testo leggibile e un testo leggibile è un testo che riesce a comunicare ciò che vogliamo e ciò che serve al nostro target.

Scegliamo il potenziale di differenza, scegliamo la bellezza che è anche sinonimo di qualità e funzionalità. Il resto verrà da sé.

 

NB: questo blog è stato scritto nel rispetto delle diversità, con una lingua volutamente inclusiva.

 

 

 

 


L'uso del genere femminile cambia la percezione delle donne

Spesso ci chiediamo se tutta questa attenzione sull'uso di una lingua verbale, scritta e parlata, inclusiva sia davvero giustificata. Insomma, è proprio necessario prestare attenzione a usare forme inclusive che possano far sentire tutte le persone a cui vogliamo rivolgerci davvero prese in considerazione? Oppure è solo una moda o un capriccio del momento? Ci chiediamo se quando parliamo dobbiamo davvero fare attenzione a dire sindaca piuttosto che sindaco se ci stiamo rivolgendo ad una donna. Così come ci chiediamo se l'uso del genere femminile nella lingua parlata e scritta possa davvero apportare un cambiamento alla percezione che si ha della donna e di tutte le persone che non si identificano in un genere eteronomativo.

Ebbene la risposta è sì. Perché il nostro modo di percepire il mondo è anche plasmato sulla lingua che usiamo per descriverlo. Se dunque, nella nostra lingua non c'è spazio per le donne nelle professioni che storicamente sono degli uomini o non c'è spazio per includere tutte le persone che fanno parte della nostra realtà, allora non ci sarà mai spazio per loro nell'avere un riconoscimento reale nel mondo.

Vediamo insieme perché.

Il genere femminile non è cacofonico

Molte volte, coloro che preferiscono non usare il genere femminile, per esempio nelle professioni, si nascondono dietro la scusa che il femminile sia cacofonico. Se fosse davvero così, parleremmo ancora il latino. Per fortuna la lingua si evolve e non c'è modo di fermarla. Una volta che l'inconscio collettivo accetta per buono un determinato termine, secondo la regola consuetudo norma legis, quel termine inizia ad entrare di diritto nella lingua sia scritta che parlata.

Indi per cui, sindaca, ingegnera, architetta, notaia, avvocata, ministra, non sono termini cacofonici, ma sono solo dei termini nuovi a cui abbiamo solo bisogno di abituarci. Il fatto che non siano stati mai usati nella lingua scritta e parlata fino a qualche anno fa, dipende dall'impossibilità per le donne di accedere a delle cariche pubbliche o a delle professioni che sono sempre state appannaggio degli uomini.

Ma ora le donne rivendicano il proprio diritto a vedersi riconosciuti quei posti che sono stati loro preclusi per anni, per centinaia di anni. E questo riconoscimento, inizia in modo solo apparentemente banale, dalla lingua nel suo uso quotidiano sia scritto che parlato.

L'uso del genere femminile verso l'inclusione

Il compito di noi che lavoriamo nel mondo della scrittura creativa e strategica è intercettare questi cambiamenti e tradurli in strategie e piani di comunicazione. L'uso del genere femminile sottintende l'uso di forme nel linguaggio più inclusive; per questo, per rivolgersi a tutto il nostro target, senza che nessun elemento si senta escluso o messo da parte, cerchiamo di usare maggiormente le perifrasi e non i generi netti, a meno che non ci stiamo rivolgendo sicuramente a un genere preso in considerazione, inventiamo modi linguistici per creare un mondo più inclusivo e rispettoso di tutte le persone che lo vivono, abbattiamo gli stereotipi, come quello dell'uso del sostantivo "uomo" per riferirsi a tutta l'umanità.

Un nuovo mondo è possibile. Cominciamo a costruirlo dalle parole che utilizziamo per raccontarlo.

A tal proposito vi consigliamo vivamente la lettura del testo https://www.effequ.it/saggi-pop/femminili-singolari/

Un testo meraviglioso che vi aiuterà ad approfondire l'argomento.

N.B.: LateralTelling usa forme di lingua inclusiva, nella sua vision di Scrittura Creativa Strategica Digitale